Appropriatezza, da “vincolo” a semplice “invito”

E’ da leggere con grande attenzione la sentenza n. 169/2017 della Corte Costituzionale, su un ricorso promosso dal Veneto contro il Dl “Appropriatezza” 78/15 (conv. legge 125/15), in particolare contro alcuni commi degli artt. 9-bis, ter, quater, septies. Al di là dei tecnicismi, la Regione Veneto chiedeva un pronunciamento sulle “Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali”. In particolare la ricorrente, come premessa comune alle impugnative, espone che gli artt. 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-septies del d.l. n. 78 del 2015, introdurrebbero una serie di tagli lineari sulla spesa sanitaria, senza alcuna considerazione né dei costi standard di cui agli articoli da 25 a 32 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), né dei livelli di spesa delle Regioni virtuose che hanno già raggiunto elevati livelli di efficienza nella gestione della sanità, senza tenere in alcun conto la forte disomogeneità che caratterizzerebbe il sistema della sanità regionale italiana. Inoltre, secondo la ricorrente, le suddette disposizioni manterrebbero a carico delle Regioni l’obbligo di garantire il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), la cui determinazione risalirebbe al 2001, essendo ancora mancata l’attuazione dell’art. 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute) che ne aveva prevista la revisione entro il 31 dicembre 2012. Sarebbe evidente quindi lo scollamento che si realizza tra un livello di finanziamento che viene pesantemente e permanentemente ridotto e una determinazione dei livelli essenziali che non è stata rivista da parte dello Stato. Ora: la Consulta, pur rigettando il ricorso della Regione Veneto, fissa una serie di “paletti” riducendo gli obblighi previsti dal Decreto “Appropriatezza” a un semplice “invito”, abbattendone così la portata vincolante. “Così –si legge nella lunga motivazione- è stato più volte affermato il “carattere personalistico” delle cure sanitarie, sicché la previsione legislativa non può precludere al medico la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente. Alla luce di tale indefettibile principio, l’“appropriatezza prescrittiva” prevista dall’art. 9-quater, comma 1, del d.l. n. 78 del 2015 ed i parametri contenuti nel decreto ministeriale devono essere dunque intesi come un invito al medico prescrittore di rendere trasparente, ragionevole ed informata la consentita facoltà di discostarsi dalle indicazioni del decreto ministeriale. In tale accezione ermeneutica devono essere intese anche le disposizioni in tema di controlli di conformità alle indicazioni del decreto ministeriale: esse non possono assolutamente conculcare il libero esercizio della professione medica, ma costituiscono un semplice invito a motivare scostamenti rilevanti dai protocolli. È invece assolutamente incompatibile un sindacato politico o meramente finanziario sulle prescrizioni, poiché la discrezionalità legislativa trova il suo limite «[nel]le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica”.

 

 

Sentenza Consulta 169_17

 

 

 

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