Cittadinanza… in cronica attesa

Tempi lunghi per diagnosi e cure, tempi ristretti per l’ascolto dei pazienti. Costi insostenibili, burocrazia “trita-diritti”. E il Piano nazionale della cronicità resta al palo. È la fotografia dei cittadini “in cronica attesa” nel XV Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva. Insomma, se le cronicità rappresentano una sfida per la sostenibilità del Ssn, è altrettanto vero che le attese dei cittadini sono non meno croniche. Si attende anni per una diagnosi, mesi per una visita, un esame di controllo o per ricevere un ausilio, giorni al Pronto Soccorso per un posto letto. Per contro, il tempo dedicato alla visita e quindi all’ascolto è sempre più ridotto, le ore dedicate all’assistenza domiciliare ed alla riabilitazione sono troppo esigue.
È la condizione in cui vivono le persone con patologie croniche e rare che emerge dal XV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità“In cronica attesa”, presentato pochi giorni fa a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.
Le persone con malattie croniche e rare e i loro familiari devono sopperire a molte carenze, utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche: fino a 10.000€ l’anno per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci, la riabilitazione a domicilio; fino a 60.000€ l’anno per pagare la retta della residenza sanitaria assistita. A questo si aggiunge la burocrazia “trita-diritti” perché non si snelliscono le procedure burocratiche, come nel caso del rilascio di piani terapeutici per i farmaci o di protesi e ausili, l’assegnazione del contrassegno auto per invalidi o il rinnovo della patente. Anzi capita che anche quando la semplificazione c’è, nella sua applicazione diventi strumento per restringere i diritti, come nel caso dell’invalidità civile e dell’handicap.
Al Rapporto di quest’anno hanno partecipato 46 associazioni aderenti al CnAMC, rappresentative di oltre 100mila cittadini affetti per il 64% da patologie croniche e per il restante 36% da malattie rare. Le stesse sono state intervistate tramite un questionario strutturato a partire dai punti cardine del Piano nazionale delle cronicità varato a settembre 2016, al fine di individuare gli elementi positivi e quelli critici su cui occorrerà lavorare per garantire una reale presa in carico dei pazienti.
Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica e di questi circa il 70% dichiara di essere comunque in buona salute. Ipertensione (17,1%), artrosi/artrite (15,6%) e malattie allergiche (10,1%) sono nell’ordine le tre malattie croniche più diffuse. Per quanto riguarda le malattie rare, in Italia si stima ci siano tra i 450mila e i 670mila malati rari.
Oltre il 60% delle associazioni segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul proprio territorio (ad esempio logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia difficoltà in ambito lavorativo, legate alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche. Nel rapporto con il medico, il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, di aver visto sottovalutati i propri sintomi (44%), la poca reperibilità (42%) e la scarsa empatia (26%). Ancora indietro sui programmi di prevenzione: non solo perché il nostro Paese investe 83€ a persona (cifra inferiore a quella di paesi come il Regno Unito, la Germania, Danimarca, Olanda e Svezia), ma anche perché, come dichiarano le associazioni, ben il 56% non è stato coinvolto in programmi di prevenzione nel corso dell’ultimo anno. Laddove svolti, tali programmi riguardano per lo più l’alimentazione corretta (24%) e i corretti stili di vita (20%).
Diagnosi in tempi lunghi ed esiti incerti: a volte occorrono anni di attesa, sofferenza, solitudine ed incertezza, accompagnati da costi non indifferenti, prima di arrivare ad una diagnosi certa di malattia cronica o rara. Più della metà (58%) dice di non essere stato sottoposto a programmi di screening nel caso in cui ad un familiare sia stata riscontrata una malattia genetica e il 60% conferma un ritardo diagnostico.
La presa in carico del paziente con patologia cronica rappresenta il cuore del Piano nazionale della cronicità e il punto sul quale si misura la qualità dell’assistenza fornita. Il 40% dichiara che sono stati coinvolti in progetti di cura multidisciplinari solo alcuni pazienti e in ugual percentuale (39%) addirittura nessun paziente. In merito alla riorganizzazione dell’assistenza prestata sul territorio, nonostante la legge abbia introdotto ad esempio le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) e le UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie), il 39% non riscontra alcun cambiamento. Di conseguenza, i cittadini, nel 68% dei casi devono ricorrere al Pronto soccorso. E, ancora, non si accorciano i tempi di attesa nel percorso di cura: un’associazione su due afferma che non esiste un percorso agevolato che garantisca tempi certi per l’accesso alle prestazioni sanitarie.
“A distanza di circa sette mesi dalla introduzione del Piano nazionale delle cronicità, alla cui stesura ed approvazione abbiamo contribuito come Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici, non possiamo permettere che questo rimanga solo sulla carta. Infatti, ci risulta che, ad oggi, solo le Regioni Umbria e Puglia abbiano recepito formalmente il Piano; altre, ma ancora troppo poche, si stanno muovendo e lo fanno in ordine sparso. Chiediamo che entro l’anno tutte le Regioni lo recepiscano formalmente con delibera e che il Ministero della Salute istituisca al più presto la cabina di regia, garantendo la partecipazione di associazioni di cittadini e pazienti. Rispetto alle strategie di finanziamento del Piano, si potrebbe contare su circa 21 milioni di Euro, relativi al PoN GOV cronicità e sanità digitale per gli anni 2016-2023, ma anche su questo è necessario accelerare”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici. “E ancora, servono segnali e impegni concreti per la vita quotidiana dei pazienti: un piano nazionale per la semplificazione della burocrazia, a cominciare dalle procedure per il rinnovo del piano terapeutico sui farmaci salvavita, per il rilascio di protesi e ausili, per superare gli ostacoli nel riconoscimento di invalidità civile ed handicap. E ancora, un impegno per assicurare percorsi di cura reali ed esigibili per tutti: deve essere direttamente il SSN a prenotare esami, visite e prestazioni di controllo per il cittadino con malattia cronica o rara e a garantirli in tempi certi”.
Nel frattempo, la riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo (ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi). Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle Associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto.
Quando il ricovero avviene in una struttura riabilitativa, lungodegenza o RSA, i cittadini segnalano lunghe attese per accedervi (68%), la mancanza di equipe multi-professionali (40%), la necessità di pagare una persona che assista il paziente ricoverato (32%) o il costo eccessivo della stessa struttura (28%). In caso di assistenza domiciliare, il primo ostacolo è nella sua attivazione (63%), il numero insufficiente di ore erogate (60%) o la mancanza di figure specialistiche necessarie (45%). Per il 40% manca anche l’assistenza di tipo sociale.
Sul fronte dell’assistenza farmaceutica, i cittadini denunciano limitazioni nella prescrizione da parte dei medici (35%), il costo eccessivo dei farmaci non rimborsati dal SSN (33%) o ancora la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (33%). A volte le limitazioni sono imposte dalle aziende ospedaliere o dalla Asl per motivi di budget (28%) o a monte attraverso delibere regionali (20%). Pesanti le difficoltà burocratiche soprattutto legate al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap e riguardano: per il 46% l’accesso all’indennità di accompagnamento, per il 39% il riconoscimento dell’handicap, per il 31% l’accesso alla pensione di inabilità, per il 27% l’assegno mensile di invalidità civile, per il 15% l’indennità di frequenza. Sull’assistenza protesica ed integrativa, oltre la metà delle associazioni lamenta troppe differenze regionali. In generale, le problematiche principali riguardano i tempi eccessivamente lunghi per la fornitura (35%), la scarsa qualità dei presidi erogati (23%) e un problema di scarsa quantità (18%).
Altro aspetto critico, la gestione del dolore: per il 62% delle associazioni, il personale sanitario sottovaluta il dolore; per il 38% manca un raccordo tra specialista e servizio di cure palliative. Inoltre, il 28% lamenta che i costi per una adeguata terapia analgesica siano a carico dei cittadini; il 24% ha difficoltà a farsi prescrivere farmaci oppiacei.
Ancora molto poche le Asl (14% secondo le associazioni del CnAMC) che promuovono corsi di formazione per i pazienti e i loro familiari per la gestione della patologia, mentre ben l’80% delle associazioni ha coinvolto i propri associati in corsi su terapie e prevenzione, sostegno psicologico, aderenza terapeutica, campi scuola per i giovani.
Sull’appropriatezza, emergono criticità rilevanti: ben il 58% riferisce che i suoi sintomi sono stati sottovalutati con conseguente ritardo nella cura; uno su quattro segnala invece di aver dovuto fare esami inutili o perché non adatti alla propria patologia o perché ripetuti più volte. In tema di aderenza terapeutica, il 59% riferisce che la mancata aderenza è dovuta ai costi indiretti della cura (spostamenti, permessi di lavoro etc..), il 52% alle difficoltà burocratiche, il 39% a interazioni con altri farmaci, o ai costi della terapia. In altri casi interviene lo scoraggiamento perché non si ottengono i risultati attesi (36%) o perché si tratta di una terapia eccessivamente lunga e complicata (26%).
Sulla sanità digitale ancora arranchiamo: il 64% dice di non essere stato coinvolto in nessun progetto di telemedicina e, nonostante la ricetta elettronica sia stata introdotta già da alcuni anni, il 49% ritiene che essa non abbia prodotto alcun risultato, o solo in alcune realtà (22%).
Veniamo alle malattie rare: il primo problema per chi ha una patologia rara è la distanza dal centro di riferimento (68%) e di conseguenza i costi privati per lo spostamento e l’alloggio (61%). Segue, per un’associazione su due, la difficoltà di arrivare alla diagnosi e la mancanza di centri di riferimento. Ancora, la difficoltà nel riconoscimento dell’invalidità e/o dell’handicap (46%) e il mancato riconoscimento della patologia (43%). Sempre la stessa percentuale ha difficoltà nell’acquisto di parafarmaci (colliri, pomate, alimenti particolari, ecc.) e nel pagare privatamente esami e visite specialistiche.
Difficoltà ancora più pesanti, soprattutto dal punto di vista psicologico, quando si parla di bambini e ragazzi affetti da una patologia rara, che spesso devono rinunciare a partecipare alle attività extrascolastiche (46%), si scontrano con problemi concreti come la presenza di barriere all’interno dell’edificio scolastico (42%) e talvolta subiscono situazioni come l’isolamento dai compagni o addirittura atti di bullismo (21%).

 

Per maggiori info:

http://www.cittadinanzattiva.it/comunicati/salute/10190-in-cronica-attesa-presentato-il-xv-rapporto-sulle-politiche-della-cronicita.html

 

 

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