Riforma costituzionale: quali possibili riflessi sulla sanità pubblica

Nelle politiche sanitarie italiane si sono evidenziate negli ultimi decenni due forze tra loro contrapposte: da un lato la spinta alla devolution (definita spesso, anche se impropriamente, federalismo sanitario) e quella alla centralizzazione. La prima è culminata con la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 e ha segnato il conferimento di poteri più ampi alle Regioni e Province autonome (R&PA). La riforma costituzionale in atto elimina il controverso istituto della legislazione concorrente prevedendo comunque, per la materia sanitaria, uno sdoppiamento delle competenze tra Stato e Regioni. In realtà la tendenza alla centralizzazione emersa è stata già evidente in alcuni atti normativi come la legge di stabilità 2016, i piani di rientro, il controllo statale delle finanze regionali, l’istituzione dell’Agenzia unica nazionale per le ispezioni del lavoro e dagli standard minimi delle strutture ospedaliere previsti dal decreto ministeriale 70/2015.
Le peculiarità delle politiche di prevenzione vedono il coinvolgimento di una pluralità di soggetti (UE, Stato, Regioni, Enti locali) e regolano una complessità di fenomeni che spesso sono difficili da ricondurre a una normativa unica in capo ad un’unica materia. La governance dell’area prevenzione viene attualmente gestita a diversi livelli: allo Stato centrale è lasciata la programmazione sanitaria nazionale e la determinazione dei LEA, mentre le Regioni disciplinano le modalità organizzative, il funzionamento, l’economicità e la qualità dei servizi sanitari erogati.
Per quanto riguarda le politiche vaccinali, nonostante, i molti sforzi degli esperti e delle società scientifiche per uniformare questo strumento di prevenzione primaria, l’assetto legislativo vigente ha lasciato ampio spazio di autonomia agli Enti Regionali nella definizione dei calendari vaccinali. Se quindi da un punto di vista politico tale autonomia è conosciuta come “federalismo vaccinale”, gli effetti di questa disomogeneità d’accesso alle singole pratiche vaccinali e le conseguenti situazioni molto difformi tra le Regioni hanno determinato un quadro “a macchia di leopardo” che mina l’equità d’offerta e crea un terreno poco solido su cui fondare campagne volte al raggiungimento dei tassi di coperture che si avvicinino agli obiettivi, come evidenziato in molti documenti tecnici. La riforma costituzionale potrebbe portare ad una centralizzazione decisionale.
Per quanto riguarda gli aspetti di tutela della sicurezza alimentare, si deve ricordare che i molteplici livelli sovraregionali di sorveglianza e coordinamento di tali attività già esistenti e in via di ulteriore consolidamento verranno rafforzati, in un sistema che probabilmente non subirà modifiche rilevanti rispetto alla situazione esistente. Strumento importate è il Piano Nazionale Integrato (PNI) 2015-2018. Esso descrive tutto il Sistema dei controlli ufficiali svolti lungo l’intera filiera alimentare al fine di tutelare i cittadini dai pericoli di natura sanitaria e dalle pratiche produttive sleali.
Il “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro” (D.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i.), già uniformava le norme da rispettare su tutto il territorio nazionale, le modalità di sorveglianza e lo stretto legame con la Magistratura e gli Organi di Polizia. L’attività pratica della sorveglianza e del monitoraggio è attualmente demandata ai servizi competenti delle Aziende USL, ma si tenga presente che, in forza dell’evidenza di difformità di controlli sulle misure preventive, stati di salute ed eventuali esiti, è stato approvata ad Aprile 2016 (indipendentemente dal percorso della riforma costituzionale) l’istituzione dell’Agenzia Unica per le ispezioni del Lavoro. La stessa eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. Modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali.
Si può quindi concludere che la riforma va nella direzione di un rinnovato centralismo (che l’esito positivo del referendum consoliderebbe) dall’altro alcune recenti leggi (come l’istituzione dell’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro; l’elenco nazionale dei manager sanitari; gli standard minimi delle strutture ospedaliere, il decreto di Ministero della Salute e MEF sui bilanci) nonché atti di programmazione e intese Stato-Regioni (Patto per la salute 2014-16; Piano Nazionale Esiti; Piano Nazionale della Prevenzione) hanno già recepito questa tendenza. Il settore delle attività di prevenzione e di sanità pubblica è apparentemente interessato dalla riforma per la norma che riporta alla legislazione statale (ma non alla gestione centrale!) le iniziative legislative sulla sicurezza alimentare e sicurezza sul lavoro, oltre che le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute (dizione tanto altisonante quanto generica!). Ma a riguardo si fa notare come, anche a legislazione vigente, si sia già evidenziata un’impostazione centralista (vedi il caso del d.lgs. 81/2008 o dei Regolamenti sulla sicurezza alimentare che hanno recepito direttive dell’UE) e come qualunque futura norma nazionale sulla tutela della salute dovrà comunque interfacciarsi con l’organizzazione dei servizi sanitari delle R&PA con modalità da stabilire.

di Carlo Signorelli (presidente Siti)

Tratto da Sanità 24 – Il sole 24 ore

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