Etica pubblica e “whistleblowing”: occorrono una legge e un cambiamento culturale

Il segreto del successo di film come “Quo vado?”, l’ultima pellicola sbancabotteghini di Checco Zalone? E’ presto spiegato: il fatto è che in gran parte dei paesi dell’Europa continentale, ma soprattutto in Italia, i dipendenti del settore pubblico sono persuasi che, all’interno della propria organizzazione, il valore dell’onestà non sia affatto qualcosa di scontato. Eh già: i dipendenti pubblici italiani si percepiscono nel complesso “meno corretti” rispetto a quelli privati, nella misura del 68% contro il 75%, almeno stando a una recente ricerca dell’angolsassone Ibe – Institute of business ethics. In altre parole, mentre nemmeno 7 dipendenti pubblici su 10 sono persuasi che i propri colleghi agiscano in maniera sempre impeccabile, tale dato nel privato sale a 7.5 lavoratori su 10. Una differenza non da poco, perché dà conto di una diversa percezione del valore dell’onestà. La forbice poi aumenta se si considerano i casi di comportamenti illeciti o comunque negativi rilevati e segnalati da dipendenti pubblici e  privati: 40%  nel pubblico contro 29%. Ciò nonostante, dal 2013, sia in vigore un codice etico per i dipendenti pubblici che ribadisce l’obbligo di attenersi ai “doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta”.   In tutto ciò hanno influito, naturalmente, i recenti scandali nel settore pubblico, ma è innegabile che occorra comunque lavorare sulla (ri) costruzione di un’etica per i dipendenti delle pa. A questo proposito può rivelarsi molto utile il whistleblowing, cioè la pratica di segnalare comportamenti o prassi scorrette.
La pratica del whistleblowing (letteralmente “fare la gola profonda”) è sempre più nota anche in Italia, tanto che ormai c’è anche un sito dedicato (www.whistleblowing.it)  proprio per supportare chi decida, con onestà e coraggio, di segnalare pratiche illecite nella sua organizzazione. Vi si legge fra l’altro: “Il “whistleblower” (soffiatore nel fischietto) è il lavoratore che, durante l’attività lavorativa all’interno di un’azienda, rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’impresa/ente pubblico/fondazione; per questo decide di segnalarla. Il “whistleblowing” è uno strumento legale – già collaudato da qualche anno, anche se con modalità diverse, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – per informare tempestivamente eventuali tipologie di rischio: pericoli sul luogo di lavoro, frodi all`interno, ai danni o ad opera dell’organizzazione, danni ambientali, false comunicazioni sociali, negligenze mediche, illecite operazioni finanziarie, minacce alla salute, casi di corruzione o concussione e molti altri ancora. E’ evidente come i primi in grado di intuire o ravvisare eventuali anomalie all’interno di un’impresa, di un ente pubblico o di un’organizzazione sono spesso coloro che vi lavorano e che sono in una posizione privilegiata per segnalare queste irregolarità. Tuttavia, indipendentemente dalla gravità o meno del fenomeno riscontrato, molto spesso i dipendenti non danno voce ai propri dubbi per pigrizia, ignoranza, egoismo ma, soprattutto, per paura di ritorsioni (se non addirittura del licenziamento) o per la frustrazione di non vedere un seguito concreto e fattivo alle proprie denunce. Una legge per l’istituto del whistleblowing, che in Italia è in corso di approvazione, offrirebbe anche in Italia – una tutela legale per i lavoratori che denunciano le irregolarità nel caso questi subiscano minacce o ritorsioni”. Certo, occorrerebbe anche un cambiamento culturale di ampio respiro, che  viaggi di pari passo con lo strumento legislativo.

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