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editoriale È allerta per gli ospedali a rischio sismico Alessandro Anzellini Il sisma dell’Abruzzo ha richiamato l’attenzione generale sulla sicurezza delle strutture Presidente AEL ospedaliere del Sistema Sanitario Nazionale. Valutarne la vulnerabilità e quindi iniziare un rapido processo di messa in sicurezza dovrebbe essere l’azione da intraprendere subito dopo i fatti accaduti all’Ospedale San Salvatore di L’Aquila. I dati ci riferiscono che circa il 16% degli edifici deputati all’erogazione di prestazioni sanitarie nel nostro Paese sono stati progettati e realizzati prima del 1934. Se conside- riamo l’insieme delle strutture, soltanto un 10% circa risulta “moderno”, il che ci porta a concludere che, combinando la stima delle strutture meno sicure con la loro distri- buzione in aree a rischio sismico, risulta che nel nostro Paese circa 400 ospedali potreb- bero riportare gravi danni a seguito di un terremoto di cui un centinaio, se sottoposti ad un sisma simile a quello abruzzese, sarebbero esposti a danni gravissimi. Una quaran- tina di strutture, concentrate in Sicilia, Puglia, Veneto e Marche, potrebbe ritrovarsi gravemente danneggiate in un caso del genere. Che tipo di costi comporterebbe allo Stato far seguire alla fase di valutazione quella della messa in sicurezza? Non pochi: circa 30 miliardi di euro, di cui circa 4 per gli interventi nelle aree prioritarie. La Commissione d’Inchiesta sui rischi sismici per il patrimonio edilizio del SSN ha effet- tuato un ciclo di audizioni in merito a tale problematica, nel corso delle quali il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha evidenziato come il 75% delle strutture, su 200 prese in esame, presenta delle “carenze molto gravi”, al “limite di collasso” in caso di terremoto di rara ed elevata intensità. Il 25% delle strutture riporterebbe danni ripa- rabili in caso di scossa sismica anche lieve. Oltre il 50% delle strutture in cemento armato presenta un grado elevato di inadeguatezza, sorte che spetta soltanto al 30% delle costruzioni in muratura, il che rappresenta una conferma della generale disatten- zione nei confronti della normativa che disciplina le costruzioni. Se è vero che occorre reperire tempestivamente i fondi e tempestivamente intervenire, è auspicabile altresì evitare gli sprechi, facendo sì che le risorse mirino a restituire a breve un servizio e non siano completamente assorbite dai tanti ospedali vetusti e tecnologicamente troppo arretrati. Sarebbe preferibile investire nel nuovo, costruendo ex novo strutture a norma, più capienti e meno dispendiose così da evitare un intervento meramente riparatore. Forse proprio questo target potrebbe rappresentare uno tra i primi appelli alla respon- sabilità delle Regioni di stampo “federalista”, gli enti locali infatti dovranno provvedere all’attuazione dei progetti in concomitanza con la capacità di autofinanziamento delle singole aziende sanitarie, senza escludere a prescindere la possibilità di partenariato pubblico-privato. Il dato del Welfare, ad oggi, è di una disponibilità inferiore ai 2 miliardi di euro come residuo di fondi ancora da spendere, che potrebbero rappresentare il contributo statale alla messe in sicurezza delle strutture a rischio. TEME 9.09 5
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