La medicina per il Ssn? Si chiama prevenzione

Il Servizio Sanitario Nazionale è stato, negli ultimi anni, al centro di numerosi interventi normativi che ne hanno ridisegnato l’assetto organizzativo, definito la governance, i ruoli di Stato e Regioni. Nel frattempo il SSN ha dovuto fronteggiare forti difficoltà economiche legate ai vincoli di bilancio imposti all’intero settore pubblico. A questo si è aggiunta una forte pressione sul sistema, determinata dall’aumento della domanda di assistenza sanitaria, dovuta all’invecchiamento della popolazione, e dei costi di produzione che hanno scontato l’inevitabile, quanto auspicabile, innovazione scientifica e tecnologica introdotta nel settore della sanità. Nel Report Osservasalute 2016 vengono affrontati alcuni nodi principali sui quali si potrebbe giocare il futuro del SSN, in particolare la sostenibilità finanziaria dei livelli attuali di salute della popolazione. A tale proposito, in letteratura vengono avanzati 3 scenari possibili per il livello di morbilità futuro: il primo ipotizza l’espansione della morbilità a causa dell’aumento della sopravvivenza media della popolazione, con gli anni di vita guadagnati trascorsi in cattiva salute; il secondo scenario prevede un equilibrio dinamico, secondo il quale l’aumento dell’aspettativa di vita non si accompagnerebbe al medesimo aumento della morbilità; il terzo postula la compressione della morbilità, per cui la crescita della sopravvivenza sarebbe seguita da un miglioramento delle condizioni di salute. Le ultime previsioni sulla spesa sanitaria effettuate dalla Ragioneria Generale dello Stato hanno considerato uno scenario che assume l’invarianza nel tempo del profilo di consumo per età, genere e tipologia di prestazione, e ipotizzato che il costo unitario delle prestazioni avrà un rapporto costante con l’andamento del Prodotto Interno Lordo (PIL). Sulla base di questo scenario, la RGS stima che l’incidenza della spesa pubblica sul PIL, nel 2025, sarà pari a circa il 7,2%, nel 2035 al 7,6% e raggiungerà l’8,3% nel 2060. A questo quadro di spesa vanno aggiunte le risorse destinate all’assistenza di lungo periodo agli anziani non autosufficienti che, oggi, assorbono solo l’1,9% del PIL; la RGS per questa tipologia di spesa, sempre nell’ambito dello scenario legato all’invecchiamento, prevede un aumento di tale quota che si attesterebbe, nel 2025, a circa il 2%, nel 2035 al 2,3% e raggiungerebbe quasi il 3,3% nel 2060.
La centralità della prevenzione

La sostenibilità delle attuali condizioni di salute della popolazione si gioca sulla capacità del sistema di promuovere la salute attraverso efficaci interventi di prevenzione primaria e secondaria. Si tratta di interventi che rafforzano la capacità di resilienza della popolazione assistita, attraverso il miglioramento degli stili di vita e la protezione mediante vaccinazioni e screening. I risultati migliori sono stati ottenuti per i comportamenti a rischio legati all’abitudine al fumo. Nel nostro Paese, nel 2015, si registrano circa 10 milioni e 300 mila fumatori che rappresentano il 19,6% della popolazione di 14 anni ed oltre, ma il trend è in deciso calo: nel 1980 la quota dei fumatori era il 34,9%. Leggeri progressi si registrano anche rispetto al consumo a rischio di alcol: nel 2015 i consumatori a rischio sono il 23,0% tra gli uomini e il 9,0% tra le donne con un andamento pressoché stabile rispetto all’anno precedente. Segnali preoccupanti, invece, sono emersi in questi anni rispetto agli stili alimentari. Sono, infatti, aumentate le persone in eccesso di peso. Nel 2015, la prevalenza di persone in sovrappeso si attesta al 35,3% della popolazione adulta e quella delle persone obese al 9,8%. Dal 2001 al 2015 tale prevalenza è aumentata significativamente, infatti, all’inizio del periodo erano il 33,9% le persone in sovrappeso e l’8,5% quelle obese. La prevenzione di secondo livello presenta un quadro di luci ed ombre: in crescita la quota di coloro che aderiscono ai programmi di screening, mentre risulta in calo quella che si sottopone ai vaccini, soprattutto tra gli anziani. Nel 2013, le persone invitate ai programmi di screening organizzato sono state: 3,7 milioni, 3,0 milioni e 4,4 milioni, rispettivamente per lo screening del cervicocarcinoma, del tumore della mammella e del tumore del colon-retto. Per quanto riguarda la prevenzione del cervicocarcinoma uterino, l’adesione agli screening (fascia di età 25-64 anni) passa, a livello nazionale, da 51,8% (triennio 2004-2006) a 69,5% (triennio 2010-2012). Nello screening mammografico, considerando la fascia di età 50-69 anni, si passa dal 54,3% (biennio 2005-2006) al 73,3% (triennio 2010-2012) e, infine, nel caso dello screening per il cancro del colon-retto dal 20,7% (biennio 2005-2006) al 53,1% (biennio 2011-2012). Il dato sulla prevenzione vaccinale desta qualche preoccupazione, come testimonia la copertura media delle vaccinazioni obbligatorie (Poliomielite, Difterite, Tetano ed Epatite B) che, nel 2015, scende al 93,4%, valore al di sotto dell’obiettivo minimo stabilito dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale fissato al 95%. Ancor più preoccupante il trend della copertura vaccinale antinfluenzale osservato tra gli anziani ultra 65enni, infatti, nell’arco temporale 2003-2004/2015-2016 si è registrata una diminuzione passando dal 63,4% al 49,9%. Il quadro relativo agli stili di vita e ai comportamenti finalizzati alla prevenzione mettono in evidenza la
necessità di investire di più su questa tipologia di interventi. I dati di incidenza di alcune patologie tumorali prevenibili palesano alcune criticità e prospettano un quadro preoccupante per il futuro in assenza di politiche efficaci. Dal 2010 al 2015 si è osservato, per il tumore al polmone, un aumento dell’8,1% (18,4 per 100.000 vs 19,9 per 100.000) nelle donne e una diminuzione del 13,2% (64,3 per 100.000 vs 55,8 per 100.000) negli uomini; per il tumore del colon-retto, invece, si è registrato un aumento del 2,0% (69,0 per 100.000 vs 70,4 per 100.000) negli uomini e una riduzione dell’1,8% (38,5 per 100.000 vs 37,8 per 100.000) nelle donne. Inoltre, per quanto riguarda il genere femminile, considerando sempre l’arco temporale 2010-2015, si è evidenziato un aumento del 5,0% (112,7 per 100.000 vs 118,4 per 100.000) per il tumore della mammella ed una riduzione del 20,4% (4,4 per
100.000 vs 3,5 per 100.000) per il tumore della cervice uterina. I dati appena descritti si riferiscono a patologie tumorali prevenibili, pertanto possono essere letti come un fallimento del sistema che lascia intendere che molta strada va ancora fatta, sia per migliorare le condizioni di salute generale e sia per conservare quanto di buono è stato già fatto in passato.

I divari territoriali

Il nostro Paese soffre tradizionalmente di forti divari territoriali, in particolare nel settore della sanità dove gli squilibri sono forti rispetto alle risorse disponibili, alle condizioni di salute e alla performance in generale. Nel 2015, a testimonianza degli squilibri territoriali delle risorse pubbliche il dato sulla spesa sanitaria pro-capite, che si attesta, mediamente, a 1.838€, è molto più elevata nella PA di Bolzano (2.255€) e decisamente inferiore nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria i cui abitanti possono contare su 1.725€.Anche rispetto alle condizioni di salute, le diseguaglianze territoriali sono evidenti. Per fare alcuni esempi nel 2015, in Italia, ogni cittadino può sperare di vivere, mediamente, 82,3 anni (uomini 80,1; donne 84,6); nella PA di Trento la sopravvivenza sale a 83,5 anni (uomini 81,2; donne 85,8), mentre un cittadino che risiede in Campania ha una aspettativa di vita di soli 80,5 anni (uomini 78,3; donne 82,8).

Link osservasalute

http://www.osservatoriosullasalute.it/osservasalute/rapporto-osservasalute-2016

 

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