Criteri premiali tipo e divieto di commistione tra requisiti soggettivi e criteri di valutazione: non è purtroppo tutto così facile

Roberto Bonatti – Studio Legale Russo Valentini

PNRR e appalti
Uno degli aspetti maggiormente innovativi e condivisibili, delle modifiche alle procedure di gara negli appalti finanziati con i fondi del PNRR, è rappresentato indubbiamente dalla previsione di clausole contrattuali, da inserire nei contratti di appalto pubblici, e di criteri premiali nella valutazione delle offerte in gara, al fine di favorire l’occupazione giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, la parità di genere e l’assunzione di giovani di età inferiore a trentasei anni e di donne. Si tratta delle misure di cui agli artt. 47, commi 4 e 5, d.l. n. 77/2021, conv. In legge n. 108/2021, recante la governance del PNRR stesso.
Si tratta di misure dal contenuto ormai molto noto, proprio per la loro rilevanza in termini di principio, la loro notevole efficacia e l’impatto considerevole sulle procedure di affidamento di appalti pubblici e sulla loro esecuzione. Sotto questo aspetto, data l’entità dei fondi del PNRR è prevedibile che la gran parte degli appalti pubblici che verranno banditi nei mesi futuri saranno finanziati, almeno in parte, con i fondi del Piano e, di conseguenza, assoggettati anche a queste specifiche procedure. Non intendo in questa sede descrivere il contenuto di tali misure, sulle quali molto si è già scritto (1); l’obiettivo di queste righe è invece porre alcuni temi sui quali non sembra esserci stato sufficiente dibattito né preventivo né successivo all’adozione delle norme di legge e degli atti regolamentari che le hanno attuate. Due sono gli aspetti sui quali occorre a mio avviso una riflessione sul piano giuridico ben più attenta di quella che parrebbe aver operato lo stesso legislatore. Un primo profilo attiene ai criteri premiali in sede di gara (art. 47, comma 5) ed in particolare al loro rapporto con il principio generale di derivazione europea che vieta, in linea tendenziale, la commistione tra i requisiti soggettivi del concorrente ed i criteri di valutazione dell’offerta presentata in gara. In secondo luogo, spostandoci nella fase di esecuzione del contratto, un ragionamento merita la verifica del rispetto degli obblighi di assunzione previsti dall’art. 47, comma 4, nel caso in cui essi siano stati inseriti nella lex specialis e perciò richiesti all’aggiudicatario (2). In entrambi i casi è però doverosa la premessa che le intenzioni del diventare addirittura strategico nell’economia nazionale in ottica di PNRR, incentivare l’occupazione giovanile e femminile e, in generale delle categorie lavorative più deboli appare una scelta assolutamente condivisibile ed in grado di produrre benefici stabili e duraturi sull’intera economia nazionale. Come si diceva, il punto è tuttavia come queste misure sono state immaginate sotto lo stretto piano normativo.

I criteri premiali relativi all’occupazione giovanile e femminile
I criteri premiali relativi all’occupazione giovanile e femminile sono lasciati dall’art. 47, comma 5, alla scelta discrezionale della singola amministrazione appaltante.
La norma si limita peraltro a fornire alcuni esempi di clausole premiali (3), per le quali, per tale ragione, si deve concludere nel senso di una presunzione di legalità e legittimità. Le clausole premiali sono meglio specificate nelle linee guida ministeriali, di cui al d.m. 7 dicembre 2021 che ipotizza anche un punteggio da attribuire a ciascuna di esse o comunque, una ponderazione minima e massima sul totale del punteggio tecnico. Il punto è che tutte le clausole premiali direttamente previste dalla legge e declinate dal d.m. attuativo sono riferite esclusivamente a caratteristiche soggettive o, al più, organizzative dell’imprenditore offerente. Nessuna di esse mostra di avere alcun impatto specifico sull’oggetto del contratto o sulle modalità esecutive della commessa. Questa considerazione pare del resto difficilmente confutabile, proprio perché i criteri premiali generali sono previsti ex ante dalla legge, senza alcuna distinzione rispetto al tipo di appalto o, ancor meno, alla categoria merceologica oggetto di esso. Clausole siffatte, ancorché direttamente indicate dalla legge, paiono allora contrarie al divieto generale di commistione tra i requisiti soggettivi e i criteri di valutazione delle offerte.
Come noto, il divieto è di derivazione eurounitaria (4).
Questa sua origine appare importante, perché esso non può essere derogato dal legislatore interno, se non per gli appalti c.d. sottosoglia. Sennonché, è ragionevole immaginare che la quasi totalità degli appalti finanziati, almeno in parte, con i fondi del PNRR sarà superiore alla soglia europea, trattandosi di appalti dal valore strategico e non altrimenti facilmente finanziabili. In tal caso, allora, essi dovranno necessariamente rispettare i principi eurounitari. Ciò chiarito, conviene precisare che, nel diritto interno, il divieto di commistione tra requisiti soggettivi e criteri di valutazione delle offerte non è più assoluto. Infatti, solo inizialmente, ancorché a lungo, l’orientamento giurisprudenziale interno si è posto nel senso di una rigida applicazione del divieto di tale commistione, in particolare sulla pregressa esperienza presso soggetti pubblici e privati e sulla certificazione di qualità (5). Tuttavia, si era fatta strada, già nel vigore del d.lgs. n. 163 del 2006, altra giurisprudenza che, sia pure limitatamente alle procedure relative ad appalti di servizi, aveva consentito l’interpretazione del detto principio cum grano salis (6): perciò, si era ritenuto legittimo per le stazioni appaltanti di prevedere nel bando di gara elementi di valutazione dell’offerta tecnica di tipo soggettivo (concernenti la specifica attitudine del concorrente, anche sulla base di analoghe esperienze pregresse, a realizzare lo specifico progetto oggetto di gara), a patto però che tali determinate caratteristiche soggettive del concorrente riguardassero direttamente l’oggetto del contratto (7). Questa interpretazione più permissiva si è mantenuta e consolidata dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice dei contratti pubblici: dapprima, nello stesso iter di approvazione del codice, nel quale espressamente, sia pur incidentalmente, il Consiglio di Stato aveva dato parere preventivo in tal senso (8); e poi dalle Linee guida dell’ANAC n. 2 (9).
Comunque, ancora nel contesto attuale la giurisprudenza afferma che la possibilità di utilizzare criteri di valutazione delle offerte basate sulle caratteristiche organizzative e soggettive dell’offerente rappresenta una eccezione rispetto al divieto di commistione, con tutto ciò che ne consegue in ordine alla necessità di interpretare restrittivamente tali situazioni. Più in particolare, si è precisato che tale eccezione appare giustificabile se e solo nella misura in cui la valutazione dei profili di carattere soggettivo, senza favorire indebitamente operatori economici che li posseggano a scapito di altri, serva comunque a mettere in evidenza la miglior qualità tecnica, sul piano oggettivo, dell’offerta (10). In effetti, le esigenze di effettiva concorrenzialità che stanno alla base degli affidamenti pubblici impongono che la selezione avvenga per quanto possibile su basi oggettive e che i criteri di aggiudicazione non comportino vantaggi indebiti a singoli operatori economici a prescindere dai contenuti delle offerte. Se si guarda ora alle clausole premiali tipo previste dall’art. 47, comma 5, del d.l. n. 77/21 ci si rende conto immediatamente che nessuna di esse rientra nel solco dell’eccezione al divieto di commistione sopra ricondotto. Né pare possa semplicisticamente dirsi che si tratta comunque di norme aventi rango di legge ordinaria, dal momento che, come già ricordato in premesse, il divieto di commistione trova la sua radice nel diritto dell’Unione e, di conseguenza, non può essere abrogato o aggirato da una norma di diritto interno. Mettere in luce questa criticità non significa però negare l’utilità di clausole premiali del tipo di quelle previste dalla legge.
Significa più esattamente prendere atto della necessità che tali clausole non siano riprodotte “a stampone”, non siano recepite acriticamente nei singoli capitolati, ma siano modificate e variate dalla singola stazione appaltante con riferimenti specifici all’oggetto del contratto e al perché l’occupazione giovanile e femminile rappresenti un indice di migliore qualità tecnica nell’esecuzione dello stesso.
Infatti, la discrezionalità di cui gode l’amministrazione appaltante nel determinare i criteri di valutazione delle offerte unita all’espressa indicazione contenuta nell’art. 47, comma 5, circa la non vincolatività né tassatività delle clausole premiali tipo, rendono assolutamente lecito ed anzi del tutto indispensabile questa operazione di adattamento. Soltanto in questo modo si può ricondurre ad armonia la nuova disposizione in commento con l’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi, secondo la quale l’eccezione al divieto di commistione deve essere valutata caso per caso, con riferimento all’oggetto della singola gara.

Esecuzione dell’appalto
Passando alle tematiche collegate all’esecuzione dell’appalto, e più in dettaglio alla verifica circa l’impegno ad assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari ad almeno il 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto all’occupazione giovanile e a quella femminile (art. 47, comma 4). Il punto delle verifiche sul rispetto di tale impegno, naturalmente, è il banco di prova dell’effettività di queste misure di legge.
Si tratta di aspetti affrontati nelle linee guida ministeriali di cui al già citato d.m. 7 dicembre 2021, ed ulteriormente specificati dalla delibera ANAC n. 122 del 16 marzo 2022 (prevista dall’art. 47, comma 9), che individua le informazioni e i dati che le stazioni appaltanti devono trasmettere alla banca dati nazionale dei contratti pubblici, proprio al fine di monitorare questi impegni. La norma consente alle stazioni appaltanti di prevedere nei bandi una clausola di esclusione per le imprese che non sottoscrivano l’impegno ad assumere almeno il 30% delle nuove risorse necessarie per l’esecuzione del contratto, in caso di aggiudicazione, ai giovani al di sotto dei 36 anni e alle donne (11). Formulata in questo modo la norma, il suo punto critico è ben evidente: come si determina se una nuova assunzione effettuata dall’appaltatore sia necessaria per l’esecuzione dell’appalto? Le linee guida ministeriali non offrono risposte univoche: si limitano a precisare che la norma non si riferisce ad una risorsa necessaria come sinonimo di indispensabile, ma che occorra fare più semplicemente riferimento al nesso di consequenzialità funzionale tra l’affidamento dell’appalto e la nuova assunzione.
Questa precisazione è importante ma appare piuttosto riferita ad escludere che l’appaltatore possa dimostrare di aver mantenuto fede al proprio impegno assuntivo dichiarato in offerta mediante assunzioni che non trovano alcuna giustificazione o ragion d’essere e che vengono fatte solo (e verosimilmente solo per il tempo necessario) per evitare l’esclusione e, appunto, dimostrare l’adempimento a tale impegno. La difficoltà di offrire elementi per una facile ed univoca applicazione di questa consequenzialità assuntiva porta il d.m. ad un’articolata e delicata operazione interpretativa: si è costretti, cioè, a ritenere che la consequenzialità vada ricercata unicamente rispetto al contratto d’appalto, escludendo i contratti dipendenti da esso (contratti con terzi per la fornitura di componenti da lavorare, eccetera) ma includendo i contratti che ricadono nel perimetro di esso (subappalti, avvalimenti) e che in sostanza presumono un contatto diretto tra il terzo contraente e la prestazione da eseguire a favore della P.A. La precisazione, pur importante, non risolve però il nodo più dolente: l’impegno assuntivo opera soltanto nel caso in cui per l’esecuzione dell’appalto l’aggiudicatario provveda a nuove assunzioni. Al contrario, se l’esecuzione dell’appalto può aver luogo con le risorse di personale già esistenti in organico al momento dell’aggiudicazione non vi sarà alcuna necessità di verificare il rispetto di questo impegno, perché nessuna nuova assunzione è consequenziale rispetto all’appalto pubblico. Ma ben potrebbe accadere che le risorse di personale preesistenti vengano per così dire dirottate nell’esecuzione del contratto pubblico da altri segmenti e unità operative presenti nell’organizzazione aziendale, solo e proprio al fine di evitare di far scattare l’impegno al rispetto delle quote di assunzione previste dall’art. 47, comma 4. Se così fosse, le nuove risorse di personale sarebbero invece assunte dall’appaltatore per colmare le lacune in organico che tale dirottamento interno avrebbe provocato.
Tuttavia, stando alle linee guida ministeriali, poiché tali nuove assunzioni non rientrano nel perimetro di esecuzione del contratto pubblico e dunque non rilevano ai fini di cui all’art. 47, comma 4. Anche in tal caso, per assicurare l’effetto utile della misura di legge sarà necessaria un’attenta verifica non solo delle assunzioni operate dall’appaltatore durante il periodo di esecuzione del contratto ma anche più in generale la completa valutazione di eventuali operazioni di riorganizzazione aziendale e produttiva che l’appalto pubblico può avere comportato. Le stazioni appaltanti dovranno compiere indagini ben attente in questa direzione, richiedendo all’appaltatore ogni informazione aziendale utile al fine di accertare il rispetto dell’impegno dichiarato in gara e, in caso di accertata violazione dell’impegno, applicare le sanzioni conseguenti.

 

1) Da ultimo, da Griselli, proprio su questa Rivista, n. 5-6/2022, pag. 10 ss., al quale pertanto rimando integralmente per la descrizione delle norme e per i primi commenti di tipo pratico.
2) Come noto, non si tratta in questo caso di criteri premiali da tradurre in un punteggio tecnico o economico, ma di impegni che il concorrente assume nel caso di aggiudicazione dell’appalto
3) Riportare le ipotesi previste dalla legge
4) Esso trae origine nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 24 gennaio 2008 in causa C-532/06, Lianakis e altri, secondo la quale, se è vero che, quando l’aggiudicazione avviene all’offerta economicamente più vantaggiosa, i criteri che possono essere applicati dalle amministrazioni aggiudicatrici non sono tassativamente elencati dalle direttive (né, dunque, neppure dalla legge interna che le traspone) e ciò lascia quindi alle amministrazioni aggiudicatici la scelta dei criteri che intendono adottare per l’aggiudicazione dell’appalto, ciò nondimeno tale scelta può riguardare soltanto criteri volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa (v. anche la precedente giurisprudenza della Corte del Kirchberg in tale senso, in materia di appalti pubblici di lavori, sentenze 20 settembre 1988, in causa 31/87, Beentjes e18 ottobre 2001, causa C-19/00, SIAC Construction; in materia di appalti pubblici di servizi, sentenze 17 settembre 2002, causa C-513/99, Concordia Bus Finland e 19 giugno 2003, causa C-315/01, GAT). Di conseguenza, non possono essere indicati come criteri di aggiudicazione criteri che non siano diretti ad identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa, ma che siano essenzialmente collegati alla valutazione dell’idoneità degli offerenti ad eseguire l’appalto di cui trattasi.
5) Cons. Stato, V, 14 ottobre 2008, n. 4971; id., V, 20 agosto 2013 n. 4191; id., 12 novembre 2015, n. 5181
6) Così, espressamente, Cons. Stato, IV, 25 novembre 2008, n. 5808
7) v., sul punto, Cons. Stato, V, 3 ottobre 2012, n. 5197
8) Consiglio di Stato in sede consultiva, parere n. 1767 del 2 agosto 2016, laddove ha sottolineato, per quanto incidentalmente, il favor per la commistione espresso nelle nuove direttive europee in materia e recepito dall’art. 95 del d. lgs. n. 50 del 2016, pur mettendo in guardia sull’opportunità di “chiarire se lo stesso servizio possa al tempo stesso, nella medesima gara, costituire requisito soggettivo di qualificazione/ partecipazione ed essere oggetto di valutazione nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, specificando, per tale evenienza, che sarà oggetto di valutazione solo per la parte eccedente la soglia minima richiesta ai fini della partecipazione alla gara. In caso contrario e di concorrenti tutti egualmente qualificati si profila il rischio di appiattire eccessivamente il confronto competitivo, o di arrecare un vantaggio ingiusto al concorrente che utilizza il medesimo servizio come requisito di partecipazione e come elemento di cui chiede la valutazione delle offerte”.
9) Delibera ANAC n. 1005, del 21 settembre 2016 ed aggiornate al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con la succcessiva delibera n. 424 del 2 maggio 2018.
10) Così Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2018, n. 4283; Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 2020, n. 1916; Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6026; Cons. Stato, Sez. III, 27 settembre 2016, n. 3970. Di recente, queste condizioni per dar luogo eccezionalmente alla commistione tra requisiti soggettivi e criteri di valutazione è stata ribadita da Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2022, n. 1186.
11) Come chiariscono le linee guida ministeriali, si tratta di due impegni distinti e disgiunti, perché perseguono due finalità diverse: l’occupazione giovanile è una misura che si inserisce nelle misure di cui al regolamento n. 2021/240/UE del 10 febbraio 2021 mentre l’occupazione femminile s’inquadra nel regolamento n. 2021/241/UE del 12 febbraio 2021.
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