I rifiuti sanitari: problematiche nella gestione e smaltimento

Dr. PhD Gaetano Settimo – Dipartimento Ambiente e Salute, Istituto Superiore di Sanità

Riassunto

Le attività inerenti strutture sanitarie (ospedali, cliniche, case di cura e altri luoghi assimilabili) comportano un sempre maggiore utilizzo di materiali monouso e questo si riflette sulla produzione di rifiuti sanitari (RS), in particolare di quelli considerati pericolosi a rischio infettivo (RSP-I). In genere le strutture con un più alto numero di posti letto e con un alto livello di specializzazioni attive presentano una più alta produzione specifica di rifiuti; valori di produzione di RSP-I riscontrati sono: 1,6-2,0 kg/giorno di degenza per strutture pubbliche e 0,8-1,0 kg/giorno di degenza per strutture private.  In ottemperanza alla legislazione, lo smaltimento di questo tipo di rifiuti avviene per la quasi totalità mediante incenerimento in impianti dedicati o mediante coincenerimento in impianti per rifiuti urbani (RU).  Tale pratica non presenta sostanziali differenze rispetto all’incenerimento di RU e, inoltre, contribuisce positivamente al recupero energetico; tuttavia necessita di particolari attenzioni in relazione ad alcuni particolari materiali (ad esempio contenenti mercurio) presenti nei RS.  Una parte di questi rifiuti viene sottoposta a sterilizzazione al fine di facilitarne il successivo trasporto e smaltimento.  Una “progettazione” del rifiuto già nella scelta dei materiali, una informazione e formazione del personale, una ottimizzazione del sistema gestionale, l’adozione di tecnologie informatiche appropriate, può consentire una consistente riduzione dei flussi di RSP-I e un contenimento sensibile dei costi di smaltimento.


Cosa sono i rifiuti sanitari e come vanno trattati

Tra i vari settori di produzione di rifiuti, quello relativo alle strutture sanitarie ospedaliere, delle cliniche, delle case di cura e di altri luoghi assimilabili, si differenzia dagli altri in quanto presenta aspetti che implicano la necessità di specifici approcci gestionali, anche in considerazione delle indicazioni legislative che si sono succedute negli anni.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [1] propone di definire come “rifiuti sanitari” (RS) quelli prodotti da strutture che effettuano prestazioni sanitarie (ospedale, pronto soccorso, studio medico, laboratorio di ricerca, ecc.).  Nel nostro Paese il riferimento legislativo di gestione è il DPR 15/07/2003, n. 254 Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179, che definisce RS quelli che derivano da strutture pubbliche e private che svolgono attività medica e veterinaria di prevenzione, di diagnosi, di cura, di riabilitazione e di ricerca ed erogano le prestazioni di cui alla legge 833/1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale). Ovvero tutti i rifiuti prodotti da attività sanitarie, indipendentemente dalla natura degli stessi, distinguendoli in:

  • assimilati agli urbani (rifiuti non pericolosi conferibili al servizio pubblico di raccolta, distinti in raccolta differenziata e indifferenziata);
  • speciali pericolosi (rifiuti a rischio infettivi, rifiuti che comprendono altri rischi-tossici, corrosivi, irritanti, ecc.);
  • speciali non pericolosi (i rimanenti rifiuti ad esclusione dei precedenti).

Queste tipologie di rifiuti vengono prodotte, oltre che dalle strutture che esercitano professionalmente attività sanitaria, anche da altre strutture pubbliche e private che utilizzano locali nei quali si effettuano attività mediche ed infermieristiche (controlli sanitari, medicina del lavoro, ecc.).

Il DLgs 152/2006, Norme in materia ambientale, alla parte quarta, Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, indica una classifica secondo l’origine (rifiuti urbani e rifiuti speciali) e secondo le caratteristiche di pericolosità (rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi).  Indica anche una priorità nella loro gestione (art. 179, già modificato con il DLgs 3/12/2010 n. 205 Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive e con le nuove disposizioni del DLgs 3/09/2020 116/2020 Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio), ovvero: prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; smaltimento.  Indica inoltre (art. 266 comma 4) che: i rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività. Sempre lo stesso decreto, nel caso dei rifiuti derivanti da attività sanitarie, li definisce speciali (art. 184 lettera h) e, poiché restano ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie riguardanti una serie di rifiuti (art. 227), viene confermato ancora una volta per i RS il DPR 254/03.

A sua volta, detto DPR riporta tra l’altro: le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento e li suddivide in:

  • rifiuti sanitari pericolosi (RSP);
  • rifiuti sanitari assimilati agli urbani (RU);
  • rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
  • rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo (RSP-I);
  • rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento;
  • rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonché rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali;
  • rifiuti speciali prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai RSP-I, con l’esclusione degli assorbenti igienici.

Ognuna di queste tipologie di rifiuti, la cui dettagliata elencazione e classifica­zione viene riportata negli allegati I e II del citato DPR 254/2003, necessita di trattamenti di smaltimento specifici.  Va considerato che la maggior parte di questi possono considerarsi assimilabili ai RU, in genere circa il 75-90%, ed andranno gestiti come tali (raccolta differenziata, recupero, smaltimento, ecc.).  La rimanente quota risulta classificabile come rifiuto speciale e, in parte, presenta caratteristiche di rischio (chimico, infettivo, ecc.) che la rende classificabile come rifiuto pericoloso.  Tale classificazione avviene in considerazione del contenuto nel materiale/rifiuto di sostanze (chimiche pericolose – rischio chimico) o in relazione al suo utilizzo in particolari aree della struttura sanitaria (ad esempio: reparti infettivi – rischio infettivo) o qualora contenga o sia venuto a contatto con materiali biologici potenzialmente a rischio infettivo (ad esempio: materiali che provengono da reparti di isolamento infettivo e che sono venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dei pazienti o che siano contaminati da sangue o altri liquidi biologici che contengono visibilmente sangue, feci o urine di pazienti che si ritengono affetti da una patologia trasmissibile attraverso tali escreti).

La corretta separazione dei diversi rifiuti, necessita di una raccolta differenziata all’interno della struttura sanitaria da praticarsi nello specifico luogo di produzione (reparti); questo al fine di consentirne lo smaltimento adeguato o il recupero, con importanti riflessi anche sulla economia di gestione.  La gestione di questi rifiuti non può quindi prescindere dalla dotazione di idonee strutture e da una formazione e informazione del personale, problema che il responsabile della direzione sanitaria deve affrontare in maniera sistematica, organica e puntuale.  La scelta dei contenitori (es. vetro, plastica, ecc.), le metodiche di stoccaggio, il livello igienico desiderato, determina le successive fasi di trattamento/smaltimento.  Una spinta differenziazione dei rifiuti, ed in particolare dei RSP-I, all’origine si riflette sulla quantità finale da smaltire e quindi sui costi finali di gestione; infatti spesso una parte di RU viene smaltita con i rifiuti a rischio infettivo con conseguenze economiche anche rilevanti.

Nel citato DLgs 205/2010 si riporta l’elenco dei rifiuti con i relativi codici (che periodicamente viene rivisto), istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE (successivamente aggiornato con la direttiva 2008/98 e con le modifiche apportate dalla decisione 2014/955/UE); nel caso del gruppo dei rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne i rifiuti di cucina e di ristorazione non direttamente provenienti dal trattamento terapeutico) il codice generale (Elenco Europeo dei Rifiuti) è indicato con il numero 18 seguito da due numeri, nel caso dei sottogruppi, o da quattro numeri, nel caso dello specifico rifiuto (es. 180103*).

Per quanto riguarda lo smaltimento, il citato DPR 254/2003, all’art. 10, stabilisce che i RSP-I debbano essere smaltiti mediante incenerimento, tal quali o dopo essere stati sottoposti a sterilizzazione (art. 7 e 9) in impianti autorizzati; nel caso presentino anche altre caratteristiche di pericolo devono essere inceneriti solo in impianti per RP.  In genere questi rifiuti presentano potere calorifico (PCI) superiori a quelli riscontrabili per i RU.  Va evidenziato che l’incenerimento dei RSP-I è considerato una garanzia di sicurezza per la eliminazione della carica batterica comparabile ai più alti livelli ottenibili con la sterilizzazione [1]. Inoltre la sostanziale riduzione in peso e in volume dei rifiuti, ottenibile con l’incenerimento (e paragonabile a quella che si ottiene con i RU o simili), rende questa pratica la migliore allo stato attuale.  Nel caso di coincenerimento con RU (soluzione che trova larga applicazione), i RSP-I non devono essere mescolati con altre categorie di rifiuti, devono essere introdotti direttamente nel forno anche con caricamento contemporaneo con altri rifiuti; tale necessità non si ha nel caso di impianti di incenerimento dedicati.  Le operazioni di caricamento al forno non devono comportare manipolazione diretta dei rifiuti, ovvero non si devono avere operazioni che espongano gli operatori ad un rischio infettivo.

Con il termine sterilizzazione si comprendono le operazioni necessarie per conseguire l’eliminazione di forme di vita microbiche. Dette operazioni possono essere effettuata mediante tecniche di tipo fisico (calore, radiazioni ionizzanti, microonde) o di tipo chimico (agenti chimici); in genere la sterilizzazione con mezzi fisici trova maggiore utilizzo. La sterilizzazione dei RSP-I trova applicazione in alcune strutture sanitarie in quanto consente una semplificazione delle successive operazioni di trasporto e smaltimento.  La maggior parte degli ospedali che applica tale sistema, effettua la sterilizzazione dei RSP-I in impianti localizzati all’interno del perimetro della struttura sanitaria.  In tal modo detti rifiuti possono essere avviati in impianti di produzione di combustibili dai rifiuti (CSS) o direttamente utilizzati come mezzo per produrre energia, possono essere smaltiti in impianti di incenerimento di RU o in impianti di incenerimento di rifiuti speciali alle stesse condizioni economiche adottate per i RU.  La possibilità, previa sterilizzazione, di utilizzare i RSP-I per la produzione di combustibili da rifiuti desta non poche perplessità, in considerazione della loro eterogeneità che non sempre consente di definirne con certezza la specifica composizione (es. presenza di fluidi biologici, di sostanze volatili, di oggetti taglienti) e della possibilità di una loro non completa sterilizzazione o di riattivazione di attività biologica.

In casi particolari, in mancanza di impianti adeguati al fabbisogno (inceneritori, impianti produzione combustibili da rifiuti), previa autorizzazione del presidente della regione (avente validità temporanea sino al superamento delle condizioni di mancanza di impianti), questi rifiuti possono essere sottoposti al regime giuridico dei RU e alle norme tecniche che disciplinano lo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi. Schematizzando, le modalità di smaltimento si possono riassumere come segue:

La situazione nel nostro Paese

Le attività inerenti le strutture sanitarie, per la loro peculiarità, comportano un sempre maggiore utilizzo di materiali monouso e, conseguentemente, un aumento della produzione di RS, in particolare quelli considerati pericolosi a rischio infettivo (RSP-I).  In genere le strutture con maggiori posti letto e con alto livello di specializzazione sono quelle che presentano una produzione di RS proporzionalmente maggiore. La produzione di rifiuti da strutture sanitarie può presentare in genere valori fino ad una decina di kg/degente/giorno, con una composizione merceologica costituita per la maggior parte da RU e con una produzione giornaliera di rifiuti da avviare all’incenerimento di circa 0,5 fino a circa 2,5 kg per posto letto occupato (plo), a seconda delle dimensioni, caratteristiche e complessità delle prestazioni fornite dalla struttura.  Di seguito si riportano alcuni dati che possono fornire, anche se relativi a singole realtà, una visione della situazione nazionale.  Emerge che la produzione dei RS è rappresentata, da quattro principali tipologie:

  • RSP-I;
  • sostanze chimiche non pericolose;
  • sostanze chimiche pericolose;
  • liquidi di fissaggio e sviluppo.

Per la Regione Emilia Romagna, dal rapporto sui rifiuti 2019 [2], si rileva che la produzione di RS delle strutture sanitarie pubbliche e private è stata (anno 2017) di 12.999 t (dei quali 10492 t di RSP-I circa 81%, 835 t RS non pericolosi circa il 6%, circa 11% RP a rischio chimico, circa il 2,3 % di altri rifiuti).  Lo smaltimento di questi rifiuti è avvenuto per la quasi totalità negli impianti di incenerimento della regione (83%).

In un recente report tecnico dell’Arpa Campania [3], si riportano i dati di produzione di RS, relativi al quadriennio 2014-2018.  Il report sottolinea la costante crescita dei RS, passati dagli 11.800 t del 2014 ai 13.565 t del 2018, alle quali vanno sommate le quantità di RS provenienti da altre regioni (passate dalle 4 t del 2014 alle 2.944 t del 2018); di questi una percentuale del 94% è costituita da RSP-I (180103*).  Nel 2018 il 44 % dei RS (7.200 t) sono stati sterilizzati e il 9 % avviati a smaltimento mediante incenerimento e a trattamento chimico fisico. Il rapporto sottolinea inoltre come 6.400 t (39%) di RS siano state inviate fuori regione principalmente in Calabria e in Puglia, e 1.250 t (8%) gestite in operazioni di stoccaggio negli impianti regionali in attesa del definitivo recupero o smaltimento.

Uno studio della Regione Sardegna ha mostrato che la produzione dei RS nelle strutture pubbliche e private [4], è stata di circa 4.316 t, di queste circa il 67% costituito da RSP-I, e che la produzione annuale di detti rifiuti per posto letto è stata di circa 772 kg/anno, il che comporta mediamente una produzione di circa 2,7 kg per posto letto giorno (strutture pubbliche) e di circa 2,2 kg per posto letto giorno (strutture private).  Nell’anno in esame i RS sono stati prevalentemente smaltiti mediante incenerimento (oltre il 90%) mentre il restante è stato sottoposto a sterilizzazione (0,7%).  L’annuale rapporto ISPRA sui rifiuti speciali, con riferimento all’anno 2018 [5], riporta che la quantità di RSP-I prodotti sono circa 141.000 t, la quota incenerita ammonta a circa 96.000 t, mentre il resto vengono avviati a sterilizzazione circa 48.000 t.  Viene inoltre confermata, in questo campo, la grossa disparità a seconda delle aree geografica; la maggior parte dei rifiuti di cui sopra vengono inceneriti negli impianti delle regioni del Nord (es. Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia).


Conclusioni e considerazioni

Le attività che si effettuano nelle strutture sanitarie ed i livelli raggiunti nelle procedure di sicurezza comportano un sempre maggiore utilizzo di materiali sanitari monouso, di dispositivi di protezione individuale (DPI), di farmaci, disinfettanti e sterilizzanti, sostanze in genere, che vanno a incrementare, alla fine del loro utilizzo, la frazione di RSP-I da smaltire mediante incenerimento.  I dati di produzione specifica per i RSP-I si differenziano a seconda delle attività e della grandezza della struttura sanitaria ed evidenziano un aumento negli anni, con valori maggiori per le strutture pubbliche (1,5-1,9 kg/giorno di degenza) rispetto a quelli delle strutture private (0,6-0,7 kg/giorno di degenza).

La possibilità di sterilizzare alcuni di questi rifiuti può semplificare alcuni aspetti gestionali; va tuttavia considerato che tale trattamento comporta delle criticità e che il successivo utilizzo di detti rifiuti nella produzione di combustibili da rifiuti (CSS) può presentare notevoli problemi dal punto di vista ambientale e sanitario.

Nella pratica dell’incenerimento dei RS, a differenza dell’incenerimento dei soli RU, vanno ben considerati alcuni aspetti specifici, quali la presenza di particolari sostanze, come ad esempio il mercurio [6].  Risulta quindi necessario approfondire la conoscenza della tipologia e composizione dei materiali avviati al circuito di smaltimento e ottimizzare le procedure di raccolta differenziata alla fonte, per isolare e trattare separatamente alcune frazioni specifiche o prevederne un diverso idoneo smaltimento separato.  Una corretta impostazione della scelta dei materiali a monte e una attenta raccolta differenziata consente una successiva riduzione sostanziale delle possibili emissioni degli impianti di smaltimento ed una sensibile riduzione dei costi di gestione (minore utilizzo di reattivi, miglioramento qualitativo e quantitativo di rifiuti da avviare a discarica).    A tale scopo è importante mettere in atto:

  • una “progettazione” del rifiuto già nella scelta dei materiali e dei presidi (compatibilmente con le esigenze terapeutiche);
  • una informazione e formazione del personale ai vari livelli;
  • una messa a punto di un sistema gestionale dei rifiuti che consenta una loro chiara e precisa differenziazione nei vari reparti con una verifica costante del rispetto delle procedure;
  • sistemi di raccolta e imballo che privilegino contenitori riutilizzabili (mantenendo la necessaria sicurezza sul rischio biologico, chimico e fisico);
  • tecnologie che riducano i rifiuti (sistemi informatici, digitalizzazione delle immagini, ecc.).

 

Bibliografia

1. WHO (2014) Safe management of wastes from health-care activities.
2. Emilia-Romagna (2020). La gestione dei rifiuti in Emilia Romagna. Report 2020. Regione Emilia-Romagna e Arpae Emilia-Romagna, maggio 2020.
3. Campania (2018). La gestione dei rifiuti sanitari in Campania. 2014-1028. https://www.snpambiente.it/2020/04/22/la-gestione-dei-rifiuti-sanitari-in-campania/
4. Sardegna (2018). Report sulla produzione e gestione dei rifiuti sanitari nella Regione Sardegna anno 2018.
5. ISPRA (2020). Rapporto rifiuti speciali. Edizione 2020. ISPRA, Rapporti n. 321/2020.
6. Settimo G., A. De Folly, G. Viviano (2007). Valutazioni sull’incenerimento dei rifiuti sanitari.  In Atti convegno “Ecomondo 2007”. Rimini, 7-10 novembre 2007, pp 608-613.

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