Le ricadute giuridiche della fine dello stato di emergenza da Covid 19 con particolare riferimento ai contratti di appalto in sanità

Considerazioni essenziali

a) La disciplina di ristoro connessa all’emergenza sanitaria
La pandemia causata dal Covid 19 ha determinato la necessità di introdurre una serie di disposizioni finalizzate a ridurre, o comunque ad arginare, le conseguenze economiche negative derivanti dalle necessarie misure di contenimento dell’emergenza sanitaria (lockdown totali o parziali, ecc.).

a.1. In particolare, con riferimento ai servizi di ristoro tramite distributori automatici, la legge n. 77/2020 (di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 34/2020, c.d. decreto rilancio) ha previsto che “in caso di contratti di appalto e di concessione che prevedono la corresponsione di un canone a favore dell’appaltante o del concedente e che hanno come oggetto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici presso gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, le università e gli uffici e le amministrazioni pubblici, qualora i relativi dati trasmessi all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, e dei relativi decreti, disposizioni e provvedimenti attuativi, mostrino un calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 superiore al 33 per cento, le amministrazioni concedenti attivano la procedura di revisione del piano economico finanziario prevista dall’articolo 165, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al fine di rideterminare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e per il solo periodo interessato dalla citata emergenza, le condizioni di equilibrio economico delle singole concessioni” (art. 28 bis).
La disposizione, non ha introdotto un vero e proprio strumento di revisione delle condizioni contrattuali, ma – come si dirà tra breve – è finalizzata a ristorare i mancati introiti in via eccezionale e limitatamente al solo periodo interessato dall’emergenza sanitaria. Essa, in altri termini, non ha consentito e non consente la definitiva e generale rideterminazione del canone per il prosieguo della concessione 1.

a.2. Con riferimento ai servizi di pulizia o lavanderia in ambito sanitario o ospedaliero la legge n. 120/2020 (di conversione del d.l. semplificazioni n. 76/2020) ha introdotto una disciplina specifica per i casi nei quali l’adeguamento alle misure di contrasto dell’emergenza Covid-19 abbia determinato un incremento di spesa di importo superiore al 20% del prezzo indicato nel bando o nella lettera d’invito. In particolare, è stato previsto che “le stazioni appaltanti, in relazione alle procedure di affidamento aggiudicate in data anteriore al 31 gennaio 2020, possono procedere, qualora non abbiano già provveduto alla stipulazione del contratto e l’aggiudicatario non si sia già avvalso della facoltà di cui all’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, alla revoca dell’aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241. […]” (art. 4 bis, primo comma).
Quanto alle procedure già aggiudicate, il secondo comma del medesimo art. 4 bis ha stabilito che “le stazioni appaltanti possono procedere alla risoluzione degli stessi [contratti], ai sensi dell’articolo 108 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel caso in cui dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale.”. Tale risoluzione, tuttavia, sarebbe stata esperibile soltanto “entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto”, ossia entro il 15 ottobre 20202.
Peraltro, l’ultima periodo del comma 2 ha confermato che “in relazione ai contratti di cui al comma 2, resta ferma la possibilità di procedere alla loro modifica nei limiti e secondo le modalità di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”3.
Come si vede, quindi, le misure introdotte sono specifiche per alcuni particolari settori immediatamente e indubbiamente colpiti dagli effetti negativi delle misure di contenimento della pandemia.

Conseguenze della fine dello stato di emergenza e possibili strumenti di revisione delle condizioni dei contratti

1. La disciplina del Codice civile
Le previsioni sub a) sono strettamente connesse al – e giustificate dal – permanere dell’emergenza da Covid-19.
In effetti, il d.l. n. 34 specifica che le misure ivi previste si applicano all’eventuale “calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19” e che rilevano “per il solo periodo interessato dalla citata emergenza”.
Analogamente, la legge n. 120/2020 si riferisce alle ipotesi in cui “dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale”.
Ecco, quindi, che, decorso il termine del 31.03.2022 (fissato per la conclusione del periodo emergenziale), le disposizioni sopra riportate sono state private di effetto.
Dal 1° di aprile, quindi, gli appaltatori non possono che applicare la normativa ordinaria circa la revisione degli importi contrattuali.
Al riguardo viene in rilievo l’art. 30, comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi … alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile”.
Conseguentemente, per quel che rileva al momento, trovano applicazione le previsioni codicistiche che consentono la rideterminazione dei corrispettivi contrattuali.
In particolare, assume rilievo l’art. 1467 del Codice civile, in forza del quale “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458 […]”, con la precisazione che “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
Va da sé, tuttavia, che se è ben vero che l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 pareva rientrare a pieno titolo negli avvenimenti “straordinari e imprevedibili”, lo è altrettanto che la fine dello stato di emergenza al 31.03.2022 pone quantomeno in dubbio – o perlomeno rende più difficile – consentire, ad oggi, rivalutazioni degli importi contrattuali.

2 I prezzi di riferimento
1. Va, sotto ulteriore profilo, considerato che l’art. 17, comma 1, lett. a) del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, prevedeva, nella sua versione originaria, che “nelle more del perfezionamento delle attività concernenti la determinazione annuale di costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura da parte dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e anche al fine di potenziare le attività delle Centrali regionali per gli acquisti, il citato Osservatorio, a partire dal 1° luglio 2012, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, fornisce alle regioni un’elaborazione dei prezzi di riferimento, ivi compresi quelli eventualmente previsti dalle convenzioni Consip, anche ai sensi di quanto disposto all’articolo 11, alle condizioni di maggiore efficienza dei ben,ivi compresi i dispositivi medici ed i farmaci per uso ospedaliero, delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari individuati dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale.” La norma chiariva, inoltre, che la previsione era finalizzata a “mettere a disposizione delle Regioni ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, con l’ulteriore previsione che “Le regioni adottano tutte le misure necessarie a garantire il conseguimento degli obiettivi di risparmio programmati, intervenendo anche sul livello di spesa per gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso gli operatori privati accreditati”.
2. L’art. 15, comma 13, lett. b) del d.l. n. 95/2012 (c.d. decreto spending review 2), convertito con modificazioni nella legge n. 135/2012, ha modificato la previsione di cui sopra sostituendone il quarto e quinto periodo come di seguito: “ Qualora sulla base dell’attività di rilevazione di cui al presente comma, nonché, in sua assenza, sulla base delle analisi effettuate dalle Centrali regionali per gli acquisti anche grazie a strumenti di rilevazione dei prezzi unitari corrisposti dalle Aziende Sanitarie per gli acquisti di beni e servizi, emergano differenze significative dei prezzi unitari, le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento come sopra individuati, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto.” La medesima norma ha previsto, inoltre, che “In caso di mancato accordo, entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione della proposta, in ordine ai prezzi come sopra proposti,le Aziende sanitarie hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere a carico delle stesse, e ciò in deroga all’articolo 1671 del codice civile” e che “Ai fini della presente lettera per differenze significative dei prezzi si intendono differenze superiori al 20 per cento rispetto al prezzo di riferimento”. La norma in questione ha stabilito, inoltre, che “Le aziende sanitarie che abbiano proceduto alla rescissione del contratto, nelle more dell’espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l’attività gestionale e assistenziale, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture”. Come si vede, quindi, nel 2012 la previsione dei prezzi di riferimento è stata “rafforzata” passando questi ultimi da meri “strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, a parametro per la rinegoziazione dei contratti in essere, alla quale le amministrazioni sono “tenute” ove il prezzo stabilito contrattualmente sia superiore al 20% rispetto a quello di riferimento. Sul punto, peraltro, pare che il regime sia diverso a seconda che il contratto derivi da un’adesione a gara regionale o sia stata affidato direttamente dall’Amministrazione. Nel primo caso si ritiene che la rinegoziazione debba essere effettuata dalla centrale di committenza, la quale ha stipulato le convenzioni con gli aggiudicatari delle gare centralizzate, cui le singole amministrazioni hanno aderito. In effetti, diversamente, si rischierebbe di addivenire ad una situazione di differenziazione dei prezzi nel medesimo ambito territoriale, che risulterebbe del tutto ossimorica rispetto all’obiettivo di uniformazione cui risponde la ce tralizzazione degli acquisti. Nel secondo, caso, invece, sono le singole amministrazioni a dover gestire la rinegoziazione dei contratti aggiudicati autonomamente, perseguendo l’obiettivo primario di contenere la spesa pubblica.
3. L’Anac ha recentemente aggiornato i prezzi di riferimento in ambito sanitario dei servizi di lavanolo, di pulizia e di ristorazione, in considerazione delle dinamiche inflazionistiche registrate nel periodo attuale. Rispetto ai dati del 2013, il prezzo di riferimento del servizio di lavanolo (lavaggio e noleggio di biancheria) è stato rivalutato del 7,70 %, il servizio di pulizia del 10,55 %, e il servizio di ristorazione del 4,40%. L’aggiornamento è stato effettuato sulla base degli indici dei prezzi Istat, in particolare: il FOI per i servizi di lavanolo (pubblicato da Istat il 22 febbraio); NIC mene per i servizi di ristorazione (pubblicato da Istat il 22 febbraio); indice dei prezzi alla produzione dei Servizi di pulizia e disinfestazione (terzo trimestre 2021) per i servizi di pulizia. Ecco, quindi, che si registra una formalizzazione dell’aumento dei prezzi, che dovrà essere gestita dalle amministrazioni. In effetti, trattandosi di implementazione, non trova applicazione il s pra citato art. 17, comma 1, lett. a) del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, che disciplina l’ipotesi in cui il prezzo di riferimento sia inferiore rispetto a quello applicato dall’amministrazione. Nel caso specifico, quindi, è verosimile che saranno gli operatori economici a richiedere l’adeguamento del prezzo tenuto conto di quelli di riferimento Anac. Anche in questo caso parrebbe corretto che, in caso di gare centralizzate, la richiesta venga indirizzata alla stazione unica appaltante, la quale ha stipulato le convenzioni quadro i cui prezzi vanno aggiornati. Sicché, a valle, le singole amministrazioni prenderanno atto dell’adeguamento concordato dalla centrale di committenza e lo applicheranno nei rapporti contrattuali di adesione. Diversamente, per i contratti aggiudicati dalle singole amministrazioni, queste ultime saranno destinatarie delle richieste di adeguamento, che dovranno gestire autonomamente.
Va da sé, ovviamente, che il riconoscimento degli adeguamenti conseguenti all’implementazione dei prezzi di riferimento, potrà avvenire soltanto ove vengano riconosciuti adeguati, maggiori stanziamenti a favore delle amministrazioni.
É appena il caso di rilevare, infatti, che qualsiasi richiesta di maggiori prezzi non potrà neppure essere valutata in mancata di adeguati stanziamenti di bilancio.

3. La revisione necessaria dei corrispettivi contrattuali
Recentemente è stato introdotto l’art. 29 del d.l. 27.01.2022, n. 4, ai sensi del quale “al fine di incentivare gli investimenti pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale derivante dalla diffusione del virus COVID-19” per gli atti di gara “ a) e’ obbligatorio l’inserimento, nei documenti di gara iniziali, delle clausole di revisione dei prezzi previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), primo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 504, fermo restando quanto previsto dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 1”.
Ecco, quindi, che è stato previsto un nuovo strumento di adeguamento contrattuale che opera pro futuro.
Esso, infatti, è sì finalizzato al contenimento delle conseguenze negative derivanti dall’emergenza Covid 19, ma introduce una previsione che si applica a tutti i bandi successivi all’entrata in vigore del decreto legge5.
In conclusione la fine dello stato di emergenza ha indubbiamente privato gli operatori economici di alcuni strumenti compensativi specifici che a tale stato erano strettamente connessi. Allo stesso tempo, tuttavia, il legislatore ha introdotto o implementato alcuni meccanismi revisionali del corrispettivo contrattuale (l’aumento dei prezzi di riferimento e l’inserzione necessaria della clausola di revisione dei prezzi negli atti di gara) che – unitamente alla disciplina civilistica già applicabile – contribuiscono certamente non ad eliminare, ma quantomeno a ridurre le conseguenze negative del periodo emergenziale.

di Annalisa Damele – Ospedali Galliera di Genova

1 Sull’applicazione della disposizione si veda, recentemente, T.A.R. Calabria, Sez. I, 14.03.2022, n. 452.
2 L’art. 1, comma 2 della legge n. 120/2020 ne ha previsto l’entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che è avvenuta il 14.9.2020.
3 La norma suscita qualche perplessità essendo evidente che i profili di utilità della stessa sono piuttosto marginali.
Innanzitutto, l’ipotesi del primo comma sembra più che altro di scuola, atteso che è improbabile che per una procedura aggiudicata entro il 30.01.2020 non si fosse ancora addivenuti alla stipula del contratto il settembre successivo.
Quanto al secondo comma è appena il caso di rilevare che sotto il profilo gestionale sarebbe risultata a dir poco problematica la risoluzione di un contratto di primaria importanza come quello di pulizia – tanto più in ambito ospedaliero – e in un momento di emergenza sanitaria, tenuto anche conto delle tempistiche per il nuovo affidamento del medesimo.
In ogni caso, lo stesso comma 2 rimanda alla disciplina delle modifiche contrattuali di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, che è l’unica norma effettivamente utilizzabile nel caso specifico.
4 L’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 prevede che è possibile la modifica dei contratti di appalto “se le modifiche a prescindere dal loro valore monetario sono state previste dai documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi”.
5 La legge di conversione 28.03.2022, n. 25 (pubblicata in G.U. n. 73 del 28.03.2022, S.O. n. 13) ha sostanzialmente confermato in toto l’impianto del d.l. e, quindi, la non generale retroattività della previsione dell’art. 29 circa l’inserzione obbligatoria della clausola di revisione dei prezzi.
L’unica novità introdotta è limitata soltanto agli accordi quadro ex art. 54 del d.lgs. n. 50/2016. La legge di conversione, infatti, ha inserito il comma 11 bis all’art. 29, in forza del quale “In relazione agli accordi quadro di lavori di cui all’articolo 54 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, già aggiudicati ovvero efficaci alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
le stazioni appaltanti possono, ai fini della esecuzione di detti accordi secondo le modalità previste dai commi da 2 a 6 del medesimo articolo 54 e nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro, utilizzare le risultanze dei prezzari regionali aggiornati secondo le modalità di cui al comma 12 del presente articolo, fermo restando il ribasso formulato in sede di offerta dall’impresa aggiudicataria dell’accordo quadro. Nelle more dell’aggiornamento dei prezzari regionali, le stazioni appaltanti possono, ai fini della esecuzione degli accordi quadro secondo le modalità di cui ai commi da 2 a 6 del citato articolo 54 e nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro, incrementare ovvero ridurre le risultanze dei prezzari regionali utilizzati ai fini dell’aggiudicazione dell’accordo quadro, in ragione degli esiti delle rilevazioni effettuate dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili su base semestrale ai sensi del comma 2 del presente articolo, fermo restando il ribasso formulato in sede di offerta dall’impresa aggiudicataria dell’accordo quadro”.
Come si vede, quindi, è stata introdotta una sorta di “limitata retroattività” della previsione del d.l., seppure con una serie di contrappesi.
Innanzitutto, la legge di conversione – oltre a circoscrivere l’applicazione della previsione ai soli accordi quadro – dispone che le stazioni appaltanti “possono” e non devono utilizzare i prezziari aggiornati. Inoltre, ciò è previsto “nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro”.
Non pare, quindi, che l’inserzione del comma 11 bis denoti un particolare coraggio da parte del legislatore. Si sarebbe potuto, in effetti, “osare” di più tenuto conto che la finalità dichiarata dell’art. 29 è quella di “far fronte alle conseguenze economiche a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale derivante dalla diffusione del virus Covid 19.
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