Note in tema di accesso agli atti e di tutela della riservatezza nelle gare d’appalto

di Roberto Bonatti – Avvocato e Professore aggregato di diritto processuale generale dell’Università di Bologna

Senza la conoscenza effettiva non si ricorre

L’accesso agli atti non è certo un istituto nuovo nel nostro ordinamento. Non lo è neppure nelle sue declinazioni più recenti (1) e nemmeno nello specifico settore delle procedure di affidamento degli appalti pubblici. Ciononostante, impegna continuamente i massimi organi giurisdizionali interni ed europei, che ancora non paiono aver indicato regole chiare, semplici ed efficaci che possano essere agevolmente seguite dalle amministrazioni aggiudicatrici senza timore di suscitare reazioni dell’uno o dell’altro concorrente coinvolto. Tentare di mettere ordine in questo susseguirsi di pronunce può non essere semplice, principalmente per due ragioni. Da un lato, manca una disciplina organica e aggiornata sull’accesso agli atti nelle procedure ad evidenza pubblica e l’incoerenza della normativa ovviamente causa incertezze applicative che solo in parte sono risolvibili con gli strumenti attuali.

Dall’altro, le pronunce provengono da plessi giurisdizionali differenti, i quali non sempre ragionano seguendo i medesimi schemi e perseguendo i medesimi obiettivi. La fonte di tutti i problemi è stata spesso ricondotta al mancato aggiornamento dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. che ancora si riferisce testualmente all’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici ed il rinvio non è stato mai aggiornato espressamente alle disposizioni del nuovo codice dei contratti ed alla disciplina, in parte differente, dei tempi entro cui esercitare il diritto di accesso nelle procedure ad evidenza pubblica. La colpevole inerzia del legislatore nell’indicare una soluzione chiara – tuttora perdurante nonostante la gravità delle conseguenze che ne derivano sia sotto gli occhi di tutti – lascia all’interprete il non facile compito di trovare una soluzione accettabile ed organica. Già soltanto mettere in evidenza queste difficoltà interpretative rappresenta un vulnus nel nostro ordinamento: va in proposito ricordato come la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla c.d. direttiva ricorsi sia consolidata nel ritenere che gli Stati membri hanno un obbligo di istituire un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile, onde consentire ai singoli di conoscere i propri diritti ed obblighi (2). Invece, non solo si sono verificate incertezze applicative talmente forti da richiedere l’intervento dell’Adunanza Plenaria sul modo di conteggiare il decorso del termine per la proposizione di ricorso giurisdizionale contro gli esiti della procedura di gara (sentenza n. 12 del 2 luglio 2020), ma addirittura detto intervento nomofilattico non è stato in grado di fugare tutti i dubbi interpretativi, che sono riemersi in dottrina ed in giurisprudenza.

Tanto che, nel breve volgere di qualche mese al termine del 2021, sono intervenute la Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 28 ottobre 2021) e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione, sentenza del 7 settembre 2021 in causa C-927/19). La pronuncia dell’Adunanza Plenaria è ormai divenuta molto nota e ciò permette di limitare ad un richiamo sintetico dei due punti di partenza e del punto di arrivo del ragionamento condotto. Il primo presupposto è che nel nostro sistema di giustizia amministrativa non è consentita la proposizione di ricorsi “al buio”, ossia prima che il ricorrente sia posto in grado di percepire l’esistenza del vizio lamentato. In questo contesto, l’accesso agli atti assolve senza dubbio ad una funzione essenziale nella garanzia del diritto di azione perché è lo strumento attraverso il quale il concorrente può verificare la legittimità dell’azione amministrativa condotta dalla stazione appaltante. Proprio per questa ragione, la giurisprudenza amministrativa ha sempre aderito ad una interpretazione molto estensiva dell’interesse all’ostensione dei documenti, letto quale fulcro centrale della garanzia di trasparenza e di imparzialità della P.A. e, quindi, ancorato direttamente all’art. 97 Cost. Il secondo presupposto è che, tuttavia, questa importantissima funzione deve essere contemperata con la certezza dell’azione amministrativa e pertanto il termine di decadenza per l’impugnazione giurisdizionale non può essere lasciato all’iniziativa del concorrente, che potrebbe strumentalmente ritardare l’esercizio del diritto di accesso al fine di procrastinare il momento in cui gli esiti della gara divengano inoppugnabili.

Di qui l’articolata soluzione offerta dall’Adunanza Plenaria: anzitutto, l’omissione delle formalità di pubblicità del provvedimento di aggiudicazione da parte dell’Amministrazione impedisce tout court la decorrenza del termine per l’impugnazione giurisdizionale (3). Una volta inviata tale comunicazione individuale, l’Adunanza Plenaria ha precisato che nell’ordinario il termine per il ricorso può essere aumentato di quindici giorni, traendo tale termine per analogia dall’abrogato art. 79, comma 5 quater del precedente codice (4) e dall’art. 79, comma 2, dell’attuale e vigente codice che appunto contiene il riferimento numerico di quindici giorni. Questo passaggio logico è un’evidente forzatura della norma e sfocia in una criticabile interpretazione creativa (5) da parte dell’Adunanza Plenaria: infatti, i quindici giorni sono riferiti al tempo massimo entro il quale la P.A. deve dare risposta all’istanza di accesso, mentre nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria si trasformano nel termine entro il quale il concorrente interessato deve presentare l’istanza stessa.

In sostanza, per effetto della sentenza dell’Adunanza Plenaria si sarebbe introdotto per via pretoria un termine per nulla previsto dalla legge (o meglio, previsto da una norma abrogata) ed addirittura collegato alla decadenza da ben due diritti (il diritto di accesso e il diritto all’azione giurisdizionale) (6). In effetti, la forzatura di questa parte del ragionamento è tale che non è stata riprodotta tra i principi di diritto enunciati, in chiusura, dall’Adunanza Plenaria stessa, che richiamano invece solo più genericamente un meccanismo di dilazione temporale del dies a quo, senza tuttavia né quantificare in termini numerici questa dilazione né chiarire da quando tale dilazione possa effettivamente conteggiarsi (7). Invece, è generalizzata una sorta di clausola di salvaguardia, che riporta all’effettiva e materiale conoscenza dei documenti necessari per la piena conoscenza del vizio (quindi, se non prima conoscibile, solo al momento in cui l’accesso è stato materialmente consentito), nell’ipotesi di inerzia o di ostruzionismo o, va aggiunto, di informazioni contraddittorie da parte della stazione appaltante. Le perplessità evidenziate dalla dottrina sono tuttavia in parte mitigate dai due autorevoli interventi successivi sull’accesso agli atti nelle gare d’appalto di cui abbiamo detto.

La Corte Costituzionale – pur formalmente avallando il ragionamento complessivamente proposto dall’Adunanza Plenaria e pur se cadendo nel medesimo errore di ritenere che l’art. 76, comma 2, del codice dei contratti preveda un termine di quindici giorni per esercitare il diritto di accesso quando invece detto termine è rivolto alla P.A. destinataria dell’istanza di accesso – ha tuttavia ricordato che nessuna interpretazione può sfuggire alla sola regola aurea che rende compatibile questo modello con l’art. 24 Cost.: che, cioè deve sempre essere assicurato al concorrente l’intero termine di trenta giorni per l’impugnazione decorrenti dal momento di effettiva percezione del vizio, se tale momento non è stato procrastinato per una colpevole inerzia o comunque da negligenza del concorrente stesso. In sostanza, mancando un termine di decadenza dal diritto di accesso, il concorrente deve aver presentato l’istanza di accesso in un termine sufficientemente esiguo da dimostrare di non essere rimasto colpevolmente inerte rispetto alla comunicazione dell’esito della gara.

Il ragionamento fino a questo punto condotto è tutt’altro che privo di conseguenze sul piano della procedura amministrativa di gara. Lo dimostra l’intervento della Corte di Giustizia nella sentenza del 7 settembre 2021 sul delicato rapporto tra l’accesso agli atti e la tutela delle informazioni riservate del concorrente in gara. Infatti, è esperienza comune che il sub-procedimento avviato dall’istanza di accesso del concorrente non colpevolmente inerte possa durare ben più dei quindici giorni previsti dall’art. 76 comma 2, del codice dei contratti.

Ciò perché l’accesso coinvolge quasi sempre gli elementi tecnici delle offerte che, frequentemente, il concorrente aggiudicatario ha indicato come contenenti segreti tecnici o commerciali. In questa situazione, va conciliato il diritto di accesso del concorrente istante con il diritto alla segretezza del concorrente nei confronti del quale è rivolta l’istanza di accesso. La Corte di Giustizia ha però affermato molto chiaramente che l’Amministrazione non può assumere un ruolo passivo in questa contesa: non può cioè né appiattirsi sulla dichiarazione del concorrente circa l’esistenza di segreti tecnici e commerciali né all’opposto ritenere automaticamente prevalente il diritto di accesso. La Corte richiama invece le stazioni appaltanti ad avere un ruolo attivo, valutando in concreto ed indipendentemente dalla dichiarazione del concorrente se effettivamente le parti che quest’ultimo vorrebbe sottrarre all’accesso contengano reali segreti tecnici e commerciali oppure no. Per semplificare l’attività valutativa propria dell’Amministrazione, la Corte di Giustizia indica un percorso molto chiaro: è compito del concorrente che oppone l’esistenza di un segreto tecnico o commerciale di dimostrare che effettivamente la divulgazione di simile informazione potrebbe essergli pregiudizievole nelle dinamiche di mercato. In altri termini, la Corte stabilisce chiaramente che non basta una opposizione generica fondata sulla mera affermazione dell’esistenza di un segreto e che spetta al concorrente che afferma ciò l’onere di provare all’Amministrazione l’effetto anticoncorrenziale che la divulgazione dell’informazione provocherebbe. A questo punto, la Stazione appaltante avrà gioco facile nel respingere le opposizioni e concedere integralmente l’accesso ai documenti richiesti qualora via sia una generica opposizione all’ostensione documentale, senza timore di esporsi alle reazioni del concorrente che aveva negato l’autorizzazione all’accesso. Inoltre, anche quando l’esistenza di un segreto tecnico o commerciale sia non solo affermata ma anche provata dall’operatore economico in questione, l’Amministrazione ha comunque il dovere di consentire al concorrente che ha presentato l’istanza di accesso di accedere a tutte le informazioni necessarie per il controllo, anche giurisdizionale, sulla legittimità del procedimento di gara. Di conseguenza, dovrà comunque comunicare in forma neutra le informazioni contenute nell’offerta tecnica del concorrente, sostituendo i riferimenti puntuali che consentirebbero di rivelare i segreti tecnici e commerciali con informazioni più generiche, ma comunque in grado di soddisfare l’esigenza di trasparenza della gara e di controllo della legittimità del procedimento. Si tratta di considerazioni del tutto in linea con le norme del nostro codice dei contratti: l’art. 53, comma 5, lett. a), infatti, stabilisce che possano essere sottratte all’accesso agli atti le sole informazioni che, “secondo motivata e comprovata dichiarazione” dell’offerente, contengano segreti tecnici o commerciali (8). Insomma, non è affatto sufficiente la dichiarazione del concorrente circa l’esistenza di tali informazioni riservate ma è indispensabile che il concorrente che intenda sottrarre tali informazioni all’accesso altrui illustri le conseguenze pregiudizievoli che potrebbero manifestarsi per effetto dell’accesso (“motivata”) ed offra dimostrazione di ciò (“comprovata”). In assenza di tali caratteristiche, la mera dichiarazione di opposizione deve considerarsi tamquam non esset (9). A chiusura del cerchio, pare significativo rimarcare che i giudici del Kirchberg traggono questa conclusione proprio dal principio di effettività del diritto ad un ricorso efficace garantito dalla direttiva 89/665/CEE sulle procedure di ricorso, che sarebbe di fatto impedito se al concorrente non fosse consentito l’accesso a tutti gli elementi utili dell’offerta dell’altro concorrente (punto 128 della sentenza). Si ritorna, insomma, al punto di partenza: senza la conoscenza effettiva non si ricorre.

1 Si pensi al riconoscimento dell’istituto dell’accesso civico generalizzato anche nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici, secondo i principi stabiliti da Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10 del 2 aprile 2020, sulla quale si veda Ingegnetti, Accesso civico generalizzato e appalti pubblici: il punto della Plenaria, in Giur. it., 2021, p. 157 ss.; Mirra, Diritto d’accesso e attività contrattuale della pubblica amministrazione: la Plenaria risolve ogni dubbio?. in Urb. e appalti, 2020, p. 680 ss.
2 Corte Giust. Un. Eur., sentenza del 14 febbraio 2019 in causa C-54/19, Cooperativa Animazione Valdocco; Cons. Stato, Sez. III, n. 7624 del16 novembre 2021.
3 Sotto questo aspetto, vale la pena di ricordare che non pare corretto ritenere che la comunicazione ai concorrenti dell’avvenuta aggiudicazione e dei provvedimenti di esclusione possa avvenire semplicemente mediante pubblicazione di tali provvedimenti, o di un avviso, pubblicato sul portale del committente: infatti, l’art. 79, comma 5, del codice dei contratti è formulato in modo chiaro nel senso di una “comunicazione” individuale all’aggiudicatario, al concorrente che lo segue in graduatoria, a ciascun concorrente che ha presentato offerta in gara e a chi abbia già impugnato atti precedenti della gara. Ciò differenzia le “comunicazioni”, che sono quindi individuali, dagli “avvisi” che possono invece essere semplicemente resi pubblici. La giurisprudenza più recente, invece, tende a ritenere idonea anche la mera pubblicazione sul portale del committente, specialmente qualora la lex specialis di gara indichi che tutte le comunicazioni verranno effettuate in tale maniera. A mio parere, invece, la lex specialis non può derogare alla legge su questo aspetto, perché introdurrebbe un onere sproporzionato al concorrente di verificare tempestivamente l’avvenuta pubblicazione, per esempio, del provvedimento di aggiudicazione della gara e renderebbe eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto di difesa contro tale provvedimento, connesso al breve termine decadenziale per l’impugnazione, traducendosi di fatto in una violazione dell’art. 24 Cost.
4 Che, tuttavia, indicava il termine di dieci giorni, e non di quindici, per l’esercizio del diritto di accesso: “Fermi i divieti e differimenti dell’accesso previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se ci sono atti per i quali l’accesso è vietato o differito, e indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che l’accesso sia consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il relativo personale presta servizio”. 5 Sandulli, Per la Corte costituzionale non c’è incertezza sui termini per ricorrere nel rito appalti: la sentenza n. 204 del 2021 e il creazionismo normativo dell’Adunanza plenaria, in Federalismi.it, n. 26 del 17 novembre 2021, p. 15.
6 Ferrante, Il dies a quo per l’impugnazione degli atti di gara, in G.D.A., 2021, p. 90 ss.
7 Sandulli, op. cit.
8 Non è possibile affrontare in questa sede il pur delicato tema di cosa si intenda per segreto tecnico o commerciale: può comunque convenirsi con la giurisprudenza maggioritaria secondo la quale si deve trattare di informazioni ed esperienze obiettivamente ignote al resto dei consociati e che abbiano un valore economico proprio in quanto sconosciute (cfr. art. 98, cod. proprietà intellettuale). Per approfondimenti, si rimanda in particolare alle conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa oggetto della sentenza in commento, punti 43 e ss.
9 Può essere utile aggiungere che la giurisprudenza è persino giunta ad affermare che la decisione di un’impresa di partecipare a gare di appalto pubbliche comporta una inevitabile accettazione del rischio di divulgazione del segreto industriale o commerciale, ove quest’ultimo sia impiegato allo scopo di acquisire un vantaggio competitivo all’interno di una gara pubblica, proprio in dipendenza dei caratteri di pubblicità e trasparenza che assistono quest’ultima (sul punto, cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, ord. n. 49 del 14 gennaio 2019; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, ord. n. 737 del 3 dicembre 2021).

Tratto da TEME 1-2/2022

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