Nuovo Codice: i “to do” da porre immediatamente in priorità

di Vittorio Miniero www.studiolegaleminiero.it – Bologna

Il nuovo codice è vigente e, finalmente, efficace ed ora tocca a noi domarlo, cercando di sfruttarne le tante opportunità.
In questo approfondimento si intende riepilogare le prime cose che occorre ricordarsi di fare per goderne appieno delle sue potenzialità.

Definiamo il “campione”

L’articolo 52 del D.Lgs 36/23 dispone che: “Nelle procedure di affidamento di cui allarticolo 50, comma 1, lettere a) e b), di importo inferiore a 40.000 euro, gli operatori economici attestano con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà il possesso dei requisiti di partecipazione e di qualificazione richiesti. La stazione appaltante verifica le dichiarazioni, anche previo sorteggio di un campione individuato con modalità predeterminate ogni anno”.
La norma costruisce un’ottima notizia (forse la migliore di tutto il nuovo Codice).
Per 7 anni, dal 18 aprile 2016 al 30 giugno 2023, per la sottoscrizione di ogni contratto, da un euro in su, le amministrazioni hanno dovuto effettuare, sempre e comunque, delle verifiche sul possesso dei requisiti da parte dell’operatore economico aggiudicatario, senza poter godere della semplificazione disposta dal DPR 445/2000 che prevede il diritto all’autocertificazione a titolo definitivo salvo verifica a campione.
A gravare ulteriormente sull’assurda decisione del legislatore, la Linea Guida n.4 di Anac impose sotto i 40 mila euro verifiche impossibili per molte amministrazioni, prevedendo che sopra i 5 mila euro occorresse verificare sempre i casellari giudiziali, il certificato fallimentare, il certificato dell’agenzia delle entrate, oltre ovviamente al DURC ed al casellario informatico.
Finalmente dal 1 gennaio 2023 si torna, quanto meno per appalti fino a 40 mila euro, all’autocertificazione a titolo definitivo e non occorrerà fare più alcuna verifica, se non “a campione”.
A questo punto però, per godere della semplificazione offerta, occorre che ogni amministrazione definisca cosa si intende per “campione”.
Non ritengo sia indispensabile approvare un regolamento interno, ma occorre un atto che definisca come l’amministrazione intende gestire la scelta del campione e le verifiche sullo stesso.
Nel merito il mio suggerimento è:
• non scegliete il dato su base percentuale che potrebbe portare a numeri imprecisi ed alti, ma scegliete un numero assoluto;
• scegliete numeri di campione relativamente bassi. Meglio avere scelto un campione basso e riuscire a rispettarlo, piuttosto che alzare i numeri del proprio campione e non riuscire a rispettarlo;
• eviterei di individuare il campione “a sorteggio” come si è tradizionalmente fatto, poiché poi si porrebbe il problema di come poter effettuare tale sorteggio. Si potrebbe individuare il campione per esempio in tal modo: ogni terzo cig del mese diviene il nostro campione da verificare;
• quell’operatore economico che rappresenta il nostro campione e per il quale quindi occorrerà effettuare le verifiche potrebbe essere comunque verificato tramite il FVOE. L’importo dell’appalto è inferiore ai 40 mila euro e quindi potremmo essere in ambiente smart cig, ma questo non consentirebbe l’utilizzo del FVOE. Quindi chiedendo il CIG si potrebbe decidere di rinunciare al CIG semplificato, chiedendolo in ambiente SIMOG; per poi godere della possibilità di ottenere dall’operatore economico aggiudicatario il PASSOE ed effettuare le verifiche tramite il FVOE, evitando sempre e comunque le richieste di certificati pubblici agli enti certificanti che porterebbe via un’enormità di tempo (speso male).

Assicuriamoci tutti

Dal 1 luglio si deve applicare quanto disposto dall’art.2 del D.Lgs 36/23 secondo il quale: “Per promuovere la fiducia nellazione legittima, trasparente e corretta dellamministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale”.

Occorre quindi darsi da fare (“adottare azioni”) per acquistare queste nuove coperture assicurative che spettano di diritto a quel personale che svolge attività “nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti”.
Che l’onere della spesa spetti agli enti pubblici è indubbio e riconosciuto dall’art.45 comma 7, secondo il quale una parte dell’incentivo da dare ai dipendenti è riservato “c) per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale”. Ma di quale assicurazione si sta parlando?
Una norma di tanti anni fa vietava alle amministrazioni di pagare ai dipendenti pubblici l’assicurazione a copertura della colpa grave, tuttavia non è pensabile che il legislatore nel codice degli appalti intendesse adottare azioni per pagare assicurazioni relative alla colpa lieve. Infatti dal 1 luglio 2023 la colpa lieve negli appalti pubblici non potrà più esistere.
L’articolo 2 del Codice dispone che “Nellambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e lomissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nellattività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dellagente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”.
Dunque qualunque errore commesso durante una gara d’appalto che comporti la violazione di una norma (salvo che l’errore avvenga avendo seguito un orientamento giurisprudenziale costante) comporta automaticamente colpa grave.
Non esisterà più il diritto del dipendente pubblico di giustificare la propria scelta sottolineando magari l’esistenza su quella fattispecie della presenza di orientamenti giurisprudenziali tra loro divergenti (situazione molto frequente).
O la gara risulterà non avere violato alcuna norma o qualunque violazione di legge comporterà automaticamente il potenziale danno erariale in conseguenza dell’elemento psicologico imposto (inspiegabilmente) per legge.
L’assurdità della norma deve trovare, quanto meno, tutela assicurativa adeguata (a spese della pubblica amministrazione).

Occorre cercare risorse e sfruttare tutto quanto possibile

Le amministrazioni pubbliche non possono più permettersi di non sfruttare tutte le risorse che possiedono al cento per cento.
La programmazione enucleerà sempre di più bisogni per i quali non si sono trovate risorse economiche disponibili.
L’amministrazione potrebbe, dunque, pubblicare avvisi che elenchino i bisogni non messi in programmazione perché privi di copertura finanziaria, affiancandoli dalle risorse (beni mobili o immobili) che non si stanno sfruttando appieno, prevedendo la disponibilità a condividere tali risorse con il privato pur di ottenere in cambio la soddisfazione dei bisogni privi di copertura finanziaria.
Questo potrebbe diventare per i privati la miccia che innesca idee per avanzare al pubblico proposte di concessione o partenariato pubblico privato.
Il privato deve poter conoscere quali risorse mette a disposizione il pubblico per valutare quale sfruttamento imprenditoriale si può ottenere tramite quelle risorse e quanto questo sfruttamento può fruttare in termini di risorse finanziarie da girare all’amministrazione bisognosa.

Modificare di default i propri capitolati

Il comma 9 dell’art.120 del D.Lgs 36/23 dispone che: “Nei documenti di gara iniziali può essere stabilito che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste. In tal caso l’appaltatore non può fare valere il diritto alla risoluzione del contratto” Dunque il cosiddetto “quinto d’obbligo” esiste d’ora in poi esclusivamente se previsto nei “documenti di gara iniziali”.
Nei capitolati speciali è importante inserire sempre, quindi, che: “Ai sensi di quanto disposto dal comma 9 dell’art.120 del d.lgs 36/23, l’amministrazione intende avvalersi del diritto di aumentare o diminuire le prestazioni fino alla concorrenza di un quinto dell’importo del contratto”.
Una volta fatto questo resterà il problema: che differenza c’è ora tra il quinto d’obbligo e l’opzione?
Entrambi gli istituti prevedono la possibilità per l’amministrazione di aumentare o diminuire eventualmente le prestazioni acquistate.
Ma quale differenza tra loro?
Se si dicesse che il comma 9 dell’art.120 comporta che il quinto d’obbligo debba essere previsto, quantificato ai fini di decidere che gara effettuare e ciggato, esattamente come ogni opzione, allora ci staremmo dicendo che il legislatore ha abrogato il quindi d’obbligo.
E sarebbe un pezzo di tradizione italiana che verrebbe meno. Come se abrogassero il panettone.
Se non si vuole credere questo occorre a tutti i costi trovare una differenza tra i due istituti e io proporrei perciò:
• l’opzione la si prevede, quantifica e cigga e può avere qualunque dimensione economica si vuole (“a prescindere dal loro valore monetario”);
• il quinto d’obbligo, invece, non lo si prevede, non lo si quantifica per decidere che gara effettuare e non lo si cigga. Ci si riserva esclusivamente nel capitolato di poterlo utilizzare quando necessario

Tratto da TEME 7/8 2023

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