“Spendere meglio per spendere meno”, ecco la ricetta anche per la sanità

Siamo a quota 45%. No, non stiamo dando i numeri: si tratta semplicemente dello scarto fra costi standard e tariffe, con punte del 20%: il che significa che le tariffe coprono appena un quinto del costo di erogazione del servizio. Insomma, “Per spendere meno bisogna spendere meglio”, e questa è una regola che vale tra le mura domestiche, ma anche in ambito sanitario.

Efficienza ed economicità

Proprio efficienza ed economicità gestionale sono state al centro del dibattito nell’ambito del VII Workshop nazionale sui Costi Standard organizzato dal N.I.San. (primo Network Italiano che elabora i costi standard in sanità con cadenza annuale ormai dal 2007) che si è svolto al Galliera di Genova il 23 e il 24 ottobre con il supporto di Roche. In tale occasione gli Ospedali e le Aziende che aderiscono al N.I.San. (attualmente ammontano a 34 tra aziende ospedaliere, IRCCS, asl, regioni) hanno esaminato i risultati relativi all’elaborazione dei costi delle attività sanitarie svolte da ciascuno.

Quasi 4 milioni di ricoveri

La banca dati totale del N.I.San. dal 2009 ad oggi ammonta a 3.944.201 episodi di ricovero (compresi day hospital, day service, OBI) per un totale di 20.003.122 giornate di ricovero/accesso. E’ stata anche l’occasione per un confronto con gli stakeholder della Sanità sul tema dell’efficienza del sistema sanitario nazionale. Alla luce della recente “legge di Stabilità” che pone un’ulteriore stretta sui deficit delle aziende sanitarie, si rende necessario condividere una policy nazionale e regionale che metta al centro il tema del controllo delle risorse ed i particolare quello dei costi standard, anche nell’ottica della ‘presa in carico’ del cittadino e soprattutto del cittadino affetto da patologie croniche. «Il punto centrale dei costi standard –ha detto il Prof. Alberto Pasdera, Coordinatore scientifico N.I.San – risiede proprio nel principio che per spendere meno bisogna spendere meglio e perché ciò avvenga bisogna avviare confronti basati sull’attività e non affidarsi ad elementi autoreferenziali (ad es. spesa storica). I costi standard sono gli strumenti per realizzare adeguatamente e concretamente tali confronti». «Dal nostro punto di vista di azienda leader in questo Paese, questa collaborazione è l’esempio pratico e di successo di ciò che da anni sosteniamo – afferma Dario Scapola, Market Access Director di Roche – e cioè che insieme i diversi attori del Sistema Salute, ognuno con le proprie competenze e specificità, possono e devono unire le forze a beneficio di modalità di gestione che consentano maggiori efficienze. Come azienda a fianco degli italiani da 120 anni, riteniamo doveroso collaborare per identificare soluzioni pratiche che consentano di raggiungere una reale sostenibilità sanitaria».

Cosa sono i costi standard

Il costo standard è il valore di riferimento che esprime il consumo di risorse per realizzare una data unità di output (es. prestazione, ricovero, percorso di cura). Moltiplicando i costi standard per la relativa quantità di output, si mette in luce quanto si dovrebbe spendere (benchmark). Confrontando benchmark e costi sostenuti si attua il processo di benchmarking (“costa tanto o poco”).

Le condizioni

Perché i costi standard producano i vantaggi sopra elencati è necessario rispettare le seguenti condizioni: 1. I costi standard vanno riferiti a che cosa si fa e per chi lo fa.

L’oggetto del costo standard deve essere dato dall’output, ovvero da ciò “che si fa e per chi”, e non dall’input, ovvero “da chi/cosa si ha”: con i costi standard non si finanziano apparati ma cure per i pazienti.

E’ necessario che il costo standard riguardi specifici prodotti (ad es.: DRG) e tipologie di utenti (patologie, categorie socioassistenziali) e non venga riferito al semplice numero dei residenti (seppur “pesati” per età) od a “che cosa si ha” (ad es., siringa); 2. Prima degli standard bisogna conoscere i costi. Per prima cosa vanno calcolati i costi degli output degli enti che saranno oggetto degli standard (ad es.: rx torace, DRG 481).

Conoscere i costi per output sostenuti dalle aziende è necessario per poter: determinare i costi standard, perché se non si conoscono i propri costi reali si determinano standard “virtuali”, non collegati con quanto avviene nella realtà. Ciò non vuol dire che i costi standard devono “appiattirsi” sui costi effettivi, ma che vanno definiti a partire dalla conoscenza di quanto avviene nella realtà (vedasi DMS 15/4/1994); utilizzare i costi standard.

Evitare i “tagli lineari”

Se non si conoscono i propri costi per prestazioni/ricoveri, con che cosa confronteremo i costi standard? Con la spesa globale? Così facendo perderemmo gran parte del potenziale dei costi standard per “ricadere” nel sistema dei tagli lineari; 3. I costi standard devono essere analitici e non generici.

Affinché il costo standard sia realmente utile, non basta procedere alla quantificazione di un valore generico ed aggregato (ad es., il costo standard di un dato DRG non deve essere definito da un solo e mero numero o peso), ma deve essere “analitico” (unbundling), ossia va declinato per pacchetto di attività (degenza, sala operatoria, radiodiagnostica, ecc.) e risorse (personale, farmaci, dispostivi sanitari, ecc.).

Così formulato, il costo standard consente di capire come e dove è concretamente possibile risparmiare e non solo di indicare genericamente di quanto la spesa deve essere contenuta, non dando elementi su come fare per contenere detta spesa. Inoltre, gli standard unbundling costituiscono una garanzia di correttezza dei valori presentati rispetto a quelli forniti con gli standard generici; com’è possibile “fidarsi” del valore del costo standard generico, se non si conoscono esplicitamente gli “addendi” analitici, ovvero le attività/risorse che compongono detto standard? Infine, gli standard analitici costituiscono un modo per superare gli attuali limiti/problemi dei sistemi tariffari (Bundled Payment o Payment by results); 4. Per costruire correttamente i costi standard (ovvero per garantire la realizzazione delle tre condizioni precedenti) bisogna applicare il Clinical Costing.

Il clinical costing

Il Clinical Costing è la metodologia di riferimento internazionale per i costi standard dal 2011 ed ha dimostrato di essere il sistema più preciso e più duttile di calcolo dei costi e soprattutto quella più adatto per collegare i costi effettivi con i costi standard (è coerente con le normative nazionali sui costi standard: L.133/2008 e D.lgs.502/1992): perciò, non si può affermare che “un metodo vale un altro”.

I punti fondamentali del Clinical Costing sono:

a) analisi degli output: innanzi tutto bisogna individuare cosa si fa (attività e prodotti: ad es.: sala operatoria e DRG), per chi lo si fa (tipologia pazienti) e chi lo fa (aziende e unità di diagnosi e cura);

b) analisi organizzativo-gestionale (Activity Costing); è indispensabile per tradurre la spesa (cosa si ha, risorse a disposizione) in costo (per che cosa/per quali attività si usano le risorse);

c) determinazione percorso di cura per un dato paziente/episodio di ricovero (Patient Level Costing), al fine di passare dal costo per attività (ad es.: sala operatoria) al costo per utente (ad es.: paziente operato), “incrociando” i dati dei punti a) e b). Ciò garantisce: la centralità dell’utente nell’analisi economica (in modo che sia un “soggetto” più che un oggetto di costo); la duttilità del sistema: infatti, se si parte già con delle categorie preconcette (ad es.: peso DRG), i valori che ne derivano non rappresentano la realtà economica di un dato sistema sanitario e men che meno servono per capire l’evoluzione dei costi;

d) Activity-based Funding, il sistema di programmazione/valutazione che consente a regioni ed aziende di impiegare concretamente i costi standard e procedere alla formulazione degli indicatori di benchmarking di tipo economico-sanitario.

Link Workshop

https://www.galliera.it/20/56/1154/comunicatis/2017-10-24-i-costi-standard-una-bussola-per-la-sanita

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