Welfare e sanità nel 50° Rapporto Censis

E’ stato presentato a Roma, il 2 dicembre scorso, il 50° Rapporto Censis, che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di debole ripresa che stiamo attraversando. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come stiamo vivendo una «seconda era del sommerso», non più pre-industriale, ma post-terziario. Nel silenzioso andare del tempo, la società continua a funzionare nel quotidiano, a ruminare gli input esterni, a cicatrizzare le sue ferite. Ma, nel parallelo rintanamento chez soi di mondo politico e corpo sociale, emerge la crisi profonda delle istituzioni. Nella seconda parte, La società italiana al 2016, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, che fanno emergere una Italia rentier che non investe sul futuro e che, nell’anno del primato degli irresistibili flussi, sperimenta insorgenti piattaforme di relazionalità, nonostante si sia rotta la cerniera tra élite e popolo. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

Welfare e sanità: i pilastri sono SSN, privato, mutualità e sanità integrativa

Proprio per ciò che riguarda welfare e sanità, va sottolineato come “il progressivo restringimento del welfare legato agli obiettivi di finanza pubblica appare evidente nella dinamica recente della spesa sanitaria”. Dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria privata, dopo una fase di crescita significativa, si riduce a partire dal 2012, per riprendere ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), fino a raggiungere nel 2015 i 34,8 miliardi di euro, cioè poco meno del 24% della spesa sanitaria totale. Aumenta poi la compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente della compartecipazione alla spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%). Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche. Anche l’offerta ospedaliera mostra una progressiva riduzione dei posti letto (3,3 per 1.000 abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).

L’accesso diretto all’informazione sanitaria, certamente enfatizzato dalle potenzialità praticamente infinite della rete, ha avuto un impatto dirompente anche sulla trasformazione della relazione medico-paziente. Il modello a cui si riferisce la quota maggiore degli italiani (50,9%) è quello della scelta terapeutica condivisa: una relazione basata sul dialogo, nella quale il medico e il paziente collaborano per prendere decisioni riguardanti la salute di quest’ultimo. Anche il paziente utente informato del web ribadisce il ruolo strategico del medico come fonte principale di informazione sanitaria (il 73,3% degli italiani cita il medico di medicina generale), mentre circa un italiano su 5 ammette la funzione strategica di televisione e internet. La quota di chi ritiene che troppe informazioni reperite sul web possano confondere chi non è esperto e che su questioni riguardanti la salute a decidere debbano essere i medici è cresciuta nel tempo, passando dal 46,6% del 2006 al 54,5% del 2014. Nel 2016 quasi la metà degli italiani attribuisce al medico di medicina generale la responsabilità di dare informazioni circostanziate ai pazienti e di guidarli verso le strutture più adatte, a fronte del 12,1% che attribuisce a internet un ruolo strategico nella selezione delle strutture e dei professionisti attraverso la disponibilità di informazioni sicure e certificate sui servizi.

Che in Italia si facciano pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell’immaginario collettivo. Secondo una indagine del Censis, l’87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l’83,3% la crisi economica ha avuto un impatto sulla propensione alla natalità rendendo più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il 60,7% è tuttavia convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli), la scelta di avere un figlio sarebbe più facile. Pesa però anche la presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga inevitabilmente i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Le coppie che si sottopongono alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita) sperimentano un percorso articolato, con modalità di accesso e opportunità molto differenziate tra le diverse regioni: il 76% delle coppie in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei, il 79,5% pensa che non in tutte le regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).

 

Link video presentazione

https://www.youtube.com/watch?v=06BPDBwJPkg

 

 

Condividi