Biomedicali, spesa in crescita: come si può razionalizzare?

Secondo i dati 2014, la spesa per le apparecchiature biomedicali ammontava a 5,7 miliardi di euro, in crescita di quasi due punti percentuali rispetto all’anno precedente. Un trend che è proseguito nel 2015, stando alle prime rilevazioni. I dati del 2014, presentati dal Ministero della Salute durante l’8° Conferenza nazionale sui dispositivi medici, confermano quella dei dispositivi come la seconda voce di spesa in beni del SSN, dopo i farmaci ed emoderivati, che pesano per oltre il 57% e sono cresciuti ancor di più, del 7%. Se si analizzano le variazioni 2014 rispetto agli anni precedenti, la crescita appare vistosa: dai 5 miliardi e 300 milioni del 2012 si è passati, nel 2013, a oltre 5 miliardi e mezzo (+4,8%). L’anno successivo la crescita ha rallentato, ma si è sempre attestata intorno al 2% (1,9). E anche i primi dati 2015, recentemente emessi dal Ministero, confermano il trend: nel primo semestre 2015 la spesa complessiva rilevata attraverso il Flusso Consumi per l’acquisto di dispositivi medici da parte delle strutture sanitarie pubbliche del SSN è stata pari a 1.875 milioni di euro, segnando un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (1.803 milioni di euro). Detto questo, come si può cercare di risparmiare pur mantenendo qualità e appropriatezza? La strada scelta dal Governo è quella dell’aggregazione degli acquisti, come emerge molto bene anche dal Dpcm in vigore dal 9 febbraio scorso, che individua 19 categorie di beni e servizi (14 relative alla sanità, per una spesa di 13 miliardi di euro su un totale di 15,6) per i quali è indispensabile ricorrere ai soggetti aggregatori. Oltre naturalmente ai farmaci, che con 8 miliardi guidano la spesa, ci sono diversi Dm come stent, ausili per incontinenza, protesi d’anca, medicazioni generali, defibrillatori, pace maker e naturalmente le siringhe, che sono diventate un po’ un simbolo dei Dispositivi Medici.

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