La nuova medicina, da meccanica a sistemica. Ma i luoghi di cura sapranno adeguarsi?

L’interessante riflessione apparsa qualche giorno su 24Ore Sanità a firma di Maurizio Benato, componente Centro Studi Fnomceo e delegato Fnomceo nel Comitato nazionale bioetica, punta i riflettori su un aspetto cruciale nell’evoluzione delle politiche sanitarie nazionali. Da un lato la medicina, alla luce delle nuove conoscenze, si sta spostando da un approccio “meccanico”, mosso da superati principi deterministici, a uno più olistico e sistemico, secondo il quale ogni individuo, e dunque ogni paziente, rappresenta un’entità biologica irripetibile con un proprio, e unico, funzionamento biochimico. Dall’altro, però, l’organizzazione del sistema sanitario rimane tuttora ancorata a un sistema “positivistico” che si rifà essenzialmente al “taylorismo-fordismo” di inizio Novecento. La sfida, non facile, è dunque quella di uscire da un’ottica di autoreferenzialità rendendosi capaci di rispondere non solo ai bisogni espliciti ed oggettivi da parte dei pazienti, ma anche alle necessità implicite e latenti. Inoltre il sistema dovrà presentarsi in maniera rendicontabile e avere modalità di controllo trasparenti verso terzi.  La struttura sanitaria, insomma, è un luogo morale e un sistema “aperto” perché sede in cui si svolgono attività umane con il fine etico della tutela della salute del paziente. La struttura ospedaliera in particolare non potrà più essere un contenitore generico e, se il focus non è più centrato sulla malattia ma sul concetto portante della centralità del paziente, diventa  la sede di importanti ricadute nei processi. Rispondere con una visione sistemica richiede innanzitutto una congruenza verticale di livello di cura per intensità di bisogno della persona con una integrazione orizzontale di assistenza appropriata. Una modalità per cui il  lavoro centrato sui compiti lascerebbe il campo al lavoro centrato sugli scopi con attenzione al progetto di salute globale della persona. Dal punto di vista organizzativo dovrebbero essere i sanitari che si spostano di ubicazione e non il paziente. Una collaborazione multidisciplinare in cui la professione medica e quelle sanitarie sarebbero chiamate ad intrecciare rapporti meno conflittuali e quindi più efficienti, efficaci ed equi; un processo di alta integrazione multidisciplinare che offre l’occasione di riorganizzare e differenziare le responsabilità cliniche, gestionali e logistiche.

 

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