Coronavirus: dietro le quinte esiste una macchina pubblico-privato degli acquisti

Medici e infermieri non potrebbero affrontare l’emergenza coronavirus se non ci fosse una macchina organizzativa in grado di gestire acquisti, logistica, riorganizzazione dei presidi sanitari, installazione di tende, realizzazione di posti letto di terapia intensiva e riconversione dei posti letto da ordinari a sub-intensiva.
Questa macchina organizzativa è rappresentata da centrali di committenza e strutture tecniche di coordinamento regionali, direzioni amministrative e sanitarie, settori provveditorato, economato e tecnici di aziende sanitarie, giusto per citare le principali. Ma anche fornitori della sanità, operatori che forniscono dispositivi quali mascherine e sistemi di monitoraggio dei pazienti, che erogano servizi di pulizie e sterilizzazione, o di istallazione e gestione di impianti.

Sul fronte della pianificazione sanitaria si tratta di riorganizzare l’attività per liberare posti letto, attivare cure intensive o sub-intensive o allestire triage avanzati, stimando la capacità ricettiva ed, eventualmente, individuando posti letto presso strutture private.
Sul fronte degli acquisti, le centrali di committenza e gli uffici acquisti delle aziende sanitarie, sono impegnate soprattutto a gestire procedure d’urgenza, anche in collaborazione con la protezione civile, per l’acquisto di consumabili quali mascherine, disinfettanti o altri dispositivi come i ventilatori e sistemi di monitoraggio dei pazienti.
L’emergenza ha rafforzato il network di acquisti formato dalle centrali di committenza regionali, che sono in costante contatto per assicurare gli approvvigionamenti necessari nelle zone più critiche. Alcune di esse, come ha riportato Alessandra Boni, Direttore di Intercenter, per la loro forma giuridica, possono effettuare acquisti direttamente, altre, non avendo capacità di spesa, come Intercenter medesima, sono attive con un ruolo strategico di intermediazione tra domanda e offerta, grazie al constante contatto con il network delle centrali. Dall’altro lato, Azienda Zero della Regione Veneto, come testimoniato da Sandra Zuzzi, responsabile degli acquisti e past president di FARE, l’associazione dei provveditori economi sanitari, ha organizzato gli acquisti in maniera diretta, ossia facendo gli ordini, reperendo un fornitore di logistica che ricevesse i beni e fosse in grado di consegnarli nei presidi sanitari, e monitorando le giacenze delle aziende sanitarie per programmare i reintegri. Francesco Ferri, presidente di Aria, ci ha riportato, che “le centrali di committenza, per acquisire forniture e servizi necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria in tempi strettissimi, oltre a far ricorso agli strumenti ordinari come le convenzioni attive, stanno sperimentando nuove procedure. Grazie alle deroghe al codice dei contratti disposte con ordinanze del Dipartimento di Protezione Civile e dal DL 9/2020, stanno facendo largo uso delle procedure negoziate senza pubblicazione del bando, disponendo, qualora inevitabile, anche il pagamento anticipato delle forniture. Ma non basta derogare al codice dei contratti per assicurarsi la disponibilità immediata di quanto serve. Il mercato fatica non poco a far fronte alle esigenze pubbliche sia perché spesso i beni richiesti non vengono prodotti in Italia, sia perché i tempi di produzione non sono compatibili con l’urgenza del caso”.

Sul fronte della logistica ospedaliera, come emerge dall’intervista di alcuni responsabili di uffici tecnici, tra cui l’arch. Melinu della Ulss di Padova che è stato impegnato nella gestione dell’emergenza presso il nuovo presidio di Schiavonia, gli uffici tecnici sono alle prese con il ridisegno dei percorsi logistici per assicurare l’isolamento delle aree critiche o con il coordinamento delle imprese chiamate a riconvertire posti letto o a installare le tende e ad assicurare la fornitura di energia, gas medicali e tecnologie.
Il mercato degli operatori economici, che negli ultimi anni ha subito una forte riduzione dei propri margini e ha dovuto far fronte a una revisione dei propri modelli di business come conseguenza della centralizzazione degli acquisti, sta lavorando a fianco delle aziende sanitarie per gestire in modo tempestivo l’emergenza.
Questo è possibile non solo grazie alle clausole di flessibilità offerte dai contratti d’appalto (per esempio quelli di global service per la gestione delle manutenzioni edili e impiantistiche offrono la possibilità di effettuare lavori extra pagati a rendicontazione entro certi limiti di spesa), come ha messo in evidenza l’ing. Maltese di Siram da noi intervistato; ma anche grazie alla capacità di multinazionali di far fronte all’emergenza contando su una produzione e una global supply chain, come nel caso di 3M, che consente di rispondere, per quanto possibile, in modo tempestivo laddove si presenta l’emergenza a livello globale, dando priorità a protezione civile e strutture sanitarie, nell’ambito di contratti di fornitura esistenti e nuovi; oppure alla capacità di operatori specializzati, come Rekeep, in grado di mettere a punto protocolli di sterlizzazione tempestivi, mobilitando personale qualificato. Rekeep, da noi intervistato, ha messo in evidenza, la necessità di una grande flessibilità operativa per rispondere adeguatamente sia al cambio di destinazione d’uso di aree e reparti predisposto dalle strutture sanitarie per la gestione dell’emergenza, sia a richieste di servizi aggiuntivi. E’ evidente che risposte di questo tipo possono essere garantite solo da aziende strutturate, in grado di fornire diversi servizi specialistici, con personale formato nel tempo e una provata esperienza in ambito sanitario.

La gestione dell’emergenza coronavirus, che per la sua gravità non ha precedenti almeno in Italia, ma in generale la gestione di emergenze a livello territoriale, come possono essere alluvioni e terremoti, impongo una riflessione sulle modalità di acquisto del servizio sanitario.
Negli ultimi giorni tutti noi stiamo apprezzando l’importanza e la straordinarietà di un servizio sanitario di tipo universale, tuttavia l’emergenza ha messo in evidenza, anche ai meno esperti, il problema del sotto finanziamento di questo servizio pubblico fondamentale. Il sotto finanziamento, prevalentemente imputabile a un gettito fiscale ridotto, come conseguenza di una stagnazione economica decennale, e a scelte di policy che hanno dirottato fondi su ambiti capaci di mobilitare più consenso politico, ha imposto una razionalizzazione dei costi basata sull’utilizzo di tagli lineari e sulla spasmodica ricerca del risparmio sugli acquisti, che non ha consentito di interiorizzare nelle modalità di acquisto elementi di valore quali l’affidabilità del fornitore, anche di fronte alla gestione dell’emergenza. Chiaro è che la responsabilità sociale di tutti gli operatori economici, in primis come cittadini della società (corporate citizens per mutuare un termine dalla teoria della corporate social responsability), rappresenta il driver principale alla base di questa straordinaria capacità di risposta all’emergenza. Tuttavia, sarebbe fondamentale che il sistema degli acquisti pubblici fosse in grado di tenere traccia di questa affidabilità del mercato, non solo in questi momenti di emergenza, ma, più in generale rispetto alle innumerevoli criticità che la sanità pubblica deve affrontare più o meno quotidianamente, in fase di acquisto, per esempio attraverso sistemi di vendor rating, già ampiamente in uso nel B2B privato.

Il sistema del procurement pubblico dovrebbe, poi, iniziare a premiare, in fase di valutazione, quegli operatori capaci di offrire modelli di gestione dell’emergenza, utilizzando criteri di offerta tecnica ed economica più evoluti, che potrebbero assicurare non solo flessibilità ma anche valore economico, anche di fronte a situazioni emergenziali di diversa entità, questo perlomeno per quanto riguarda i servizi, come il global service e le pulizie. Spostando l’attenzione dalla dimensione strategica dell’acquisto alle politiche nazionali di spending review, è poi necessario riflettere sulle ripercussioni di queste ultime sul tessuto economico-imprenditoriale locale, che all’epoca del coronavirus diventano più evidenti a tutti. Il presidente della Fare, l’associazione dei settori provveditorato ed economato delle aziende sanitari, Salvatore Torrisi, intervistato sulle lezioni che il sistema pubblico può apprendere in tema di revisione delle politiche di acquisto, auspica che “da questo evento drammatico possa scaturire un serio ripensamento delle politiche di approvvigionamento dei dispositivi medici in ambito nazionale e che vengano create le condizioni per favorire il ritorno a una adeguata produzione territoriale, in particolare nei settori a più bassa tecnologia, attuando, nel contempo, condizioni affinché tali produzioni – come per esempio di mascherine, tamponi orofaringei e gel antibatterico, fondamentali per garantire l’attività sanitaria di routine, non solo in casi di emergenza – possano avere reali chance di competere ed essere acquisite dal SSN. Infatti, la costante pressione per la ricerca del prezzo più basso e la collegata concentrazione della domanda nell’acquisto dei dispositivi medici per il SSN ha di fatto decimato il tessuto produttivo nazionale del settore, costringendo gli imprenditori italiani di dispositivi medici a diventare “meri rivenditori” di prodotti interamente fabbricati all’estero”. Quanto emerge dalle parole del Presidente di Fare conferma quanto testimoniato dal Presidente di Aria Ferri, circa la difficoltà di assicurare un adeguato approvvigionamento dei dispositivi medici necessari per affrontare la crisi.
Il sistema del procurement pubblico, infine, largamente influenzato, seppur impropriamente, dal tentativo di arginare fenomeni di corruzione e di ridurre il rischio di danno erariale, attraverso l’introduzione di meccanismi volti a premiare più la forma che la sostanza e risparmi di breve termine, facilmente misurabili e dimostrabili, sta lacerando il trust, la fiducia tra pubblico e privato, che, tra l’altro, è alla base del funzionamento dei sistemi economici e sociali, e che poi è uno degli ingredienti del capitale sociale, da cui dipende la capacità di reagire a situazioni di emergenza, quale appunto quello che stiamo vivendo. L’emergenza, e non solo quella del coronavirus, ha messo in evidenza come l’Italia abbia un capitale sociale molto solido, già studiato da molti economisti internazionali, come Putnam negli anni ottanta, che il policy maker dovrebbe valorizzare e tenere debitamente in conto nel ripensamento, inter alia, delle politiche economiche, tra cui quelle di acquisto. Infine, questa emergenza, ma non solo, ha messo chiaramente in luce la strategicità della funzione acquisti, spesso vista come un mero strumento burocratico. Per questo motivo, è necessario che, sia a livello nazionale, che regionale ed aziendale, vi sia un adeguato investimento per assicurare modelli di governance e di funzionamento adeguati.

di Veronica Vecchi e Niccolò Cusumano – SDA Bocconi school of management

Fonte: Sanità 24 – Il Sole 24 Ore

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