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editoriale Le protesi “fetenti” Marco Boni Ha turbato l’opinione pubblica il caso delle protesi “fetenti”, così definite in un collo- Direttore TEME quio telefonico tra un primario ortopedico e un fornitore, intercettato nell’ambito di un’indagine della magistratura su presunti reati di corruzione nella sanità pugliese. È triste dover rilevare come, ancora una volta, gli appalti in sanità assurgano all’onore delle cronache per fatti straordinari di rilevanza penale, e mai per gli ordinari virtuosi comportamenti di acquisto che quotidianamente vengono posti in essere dalle strut- ture sanitarie pubbliche. La buona amministrazione - come si sa - non fa notizia. In tema di protesi più o meno fetenti, il caso della Puglia segue, nell’ordine, quelli delle valvole cardiache della Toscana (che indusse l’assessore alla Sanità a promuovere i consorzi (ora ESTAV)) per gli acquisti, del Piemonte, del Veneto, passando per quella “clinica degli orrori” lombarda dove le protesi ortopediche - a prescindere dalla loro “qualità” - pare venissero impiantate anche a chi non ne aveva bisogno. Sospetto che aleggia anche nell’indagine pugliese, visto che il campanello d’allarme che ha determi- nato l’avvio nel 2002 delle indagini è stato un anomalo, quanto mirato boom di impianti. Stando alle cronache, si impiantano protesi “buone” ai raccomandati, protesi scadenti agli altri. A proposito di endoprotesi ortopediche, si può osservare che oggi non esistono protesi “fetenti”, in quanto tutte quelle immesse in commercio devono essere corredate del marchio CE, quindi rispondenti ad adeguati parametri di sicurezza. La differenza sta semmai nella “qualità”, rappresentata dalla modellistica della protesi e dalla tipologia dei materiali impiegati. Si va dalle protesi “di base” a quelle tecnicamente più avan- zate. La scelta di impianto dovrebbe essere operata in funzione delle specifiche pato- logie, della morfologia, del peso e dell’età del paziente, delle esigenze funzionali e del danno articolare. E non per gonfiare il fatturato dell’uno o l’altro fornitore. Il cittadino si chiede a cosa servano le procedure di appalto, pur costellate di infiniti formalismi, se le forniture pubbliche si decidono per telefono o nelle alcove. Non deve consolare il fatto che i provveditori, obbligati spesso al ruolo di “passacarte”, siano usciti indenni dai procedimenti che hanno visto condannati i clinici utilizzatori delle protesi. Infatti, in un quadro di tal fatta, quello stesso osservatore esterno si chiede anche quale ruolo svolga e a che cosa serva il provveditore, che pure è titolare del processo di acquisto. Il “politico”, che dovrebbe scrivere le regole e astenersi dalla gestione, dovrebbe smet- terla di spandere cortine fumogene facendo credere alla pubblica opinione che con codici, codicilli e regolamenti si tutela la correttezza sostanziale. Dovrebbe “investire” nella professionalità e responsabilizzazione dei preposti agli acquisti, funzionari da tute- lare con ruolo e carriera specifici, cui consegua indipendenza di azione e inamovibilità tecnica. Un provveditore decisore finale responsabilizzato, “garante” e “garantito”, è l’unica “garanzia” per una buona amministrazione. TEME 10.09 5
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