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editoriale Spending review. Lascia o raddoppia? Marco Boni Le vicende di quella parte della manovra di spending review che ha per oggetto la Direttore TEME riduzione dell’importo dei contratti per l’acquisto di beni e servizi è sintomatica di quell’italico andazzo che ormai travolge anche il sistema delle regole. Il testo della norma appariva, per una volta, abbastanza chiaro: andavano ridotte quantitativamente e/o qualitativamente del 5% le prestazioni e correlativamente l’importo dei contratti (una sorta di parziale applicazione forzosa in diminuzione del famoso “quinto d’obbligo”). Tuttavia, siccome si riteneva iniqua (trattandosi di un taglio lineare) e impossibile (dovendo correlativamente mantenere l”invarianza dei servizi ai cittadini”) l’applicazione della norma, si è tentato inizialmente, con alcuni contorcimenti interpretativi, di far dire al legislatore che si dovevano ridurre semplicemente i prezzi. Alla faccia di quel divieto assoluto di rinegoziare i contratti dopo l’aggiudicazione, il cui mancato rispetto fino al giorno prima avrebbe determinato sanzioni comunitarie. Qualche fornitore, preso alla sprovvista, c’è cascato. Qualche provveditore ha poi orgogliosamente sbandierato di aver ottenuto adeguate riduzioni di prezzo. Ha quindi confermato, implicitamente, che stava comprando a prezzi gonfiati. Alla fine (ma non è finita) sappiamo com’è andata: nel complesso, con la riduzione di prezzi e/o prestazioni, compatibilmente con il mantenimento dei servizi essenziali, si è ottenuto un risultato economico ben al di sotto dell’obiettivo. Tale da non compensare, forse, i costi dell’attività di “ricontrattazione”. Secondo un’indagine FIASO, il taglio unilaterale del 5% dei prezzi è stato accordato da meno del 4% dei fornitori. La riduzione globale dell’importo dei contratti, in esito all’attività di ricontrattazione di prezzi e prestazioni, è risultata mediamente del 2%, anzichè del 5% previsto dalla legge n. 135/2012. La norma - per quanto giudicata ingiusta, ma pur tuttavia cogente - è stata quindi largamente disapplicata. E non è successo e non succerà nulla. Cioè oggi le leggi si applicano “un tanto al chilo”, o, come si dice, “a piacere”. Nemmeno pensare, poi, di chiedere conto a chi, lautamente compensato allo scopo, ha ideato una manovra flop (per la cui progettazione - nei termini in cui è stata pensata - forse non serviva un super tecnico), che non ha portato i risparmi contabilizzati. Il finale è “all’italiana”. Il legislatore “raddoppia”, ma “lascia”. Cioè, alza l’asticella e l’obiettivo di riduzione dell’importo dei contratti è portato al 10% (legge di stabilità 2013). Il tutto deve determinare un risparmio su base annua di circa 500 milioni di euro, minor spesa che, ad ogni buon conto, è già contabilizzata nella decurtazione complessiva del fondo sanitario nazionale. Un particolare: siccome si è capito che per garantire i livelli essenziali di assistenza non ci se la fa a tagliare i contratti del 5% e quindi tantomeno del 10%, l’obiettivo si intende raggiunto anche “adottando misure alternative, purchè assicurino l’equilibrio del bilancio sanitario”. Insomma, “fate ‘n po’ come ve pare” . Che non si dica, però, che per governare la spesa non sono stati forniti adeguati e incisivi strumenti. TEME 1/2.13 3
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